Perché la “Corredentrice” non è solo una questione di parole
Oltre la disputa terminologica dell’IMA a Mater Populi fidelis
di +Antonio Staglianò
(Presidente della Pontificia Accademia di teologia)
La risposta della Commissione Teologica dell’Associazione Mariana Internazionale (IMA) al documento Mater Populi fidelis rappresenta un’impegnativa difesa di una tradizione devozionale e teologica cara a molti. Lo studio di IMA mi onora con una citazione al n. 38: «Ulteriori commenti teologici vicini al documento DDF suggeriscono di incorporare una “analogia inversa” che allontanerebbe in modo espansivo Gesù Cristo come Dio dalla Maria umana. Tale proposta è in opposizione all'unità relazionale espressa dai titoli mariani come Corredentrice e Mediatrice di tutte le grazie. Tali sforzi astratti hanno lo scopo di evitare potenziali fraintendimenti di Maria come “quasi-Salvatrice”, ma alla fine minano la teologia incarnazionale fondamentale».
Il corsivo di “sforzi astratti” è mio. Considero solo che l’astratto qui risulta fecondo, perché è di una concretezza straordinaria come quella dell’astratta matematica per la circolazione del denaro in una banca o l’astrazione scientifica delle equazioni di Einstein sulla Relatività generale per la spiegazione delle spazio-tempo o, meglio, l’astrazione teosofica di Rosmini per capire perché ogni essere umano è “divino”, portando l’immagine e la somiglianza di Dio che è Gesù Cristo, il Verbo consustanziale del Padre. Sono proprio questi “sforzi astratti” che rivela concretamente come la questione della “Corredentrice” non sia meramente nominalistica o legata a una sterile “ermeneutica della continuità”. Al centro c’è un nodo teologico decisivo: la natura stessa della Redenzione e l’immagine di Dio che proponiamo al popolo fedele.
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La replica che segue non intende negare la pietà sincera di quanti amano il titolo “Corredentrice” (tra i quali annovero me stesso, devotissimo di Nostra Signora di Guadalupe), né ignorare le citazioni pontificie addotte dall’IMA. Vuole piuttosto mostrare come, al di là dell’uso storico di un termine, la posizione dell’IMA non riesca a rispondere adeguatamente alle profonde ragioni dottrinali, pastorali ed ecumeniche che hanno spinto il Magistero recente a un necessario discernimento e a una chiara presa di distanza.
I. La Tradizione non è un archivio statico, ma un Fiume Vivente
L’IMA fonda la sua difesa principalmente su un argumentum ex traditione: il titolo è stato usato da papi, santi e mistici; quindi, condannarlo come “sempre inappropriato” equivarrebbe a condannare loro. Questo approccio, però, rischia di fraintendere la natura dello sviluppo dottrinale e del magistero vivente.
- Il peso differenziato del Magistero: è vero che alcuni papi hanno usato il termine, spesso in discorsi o preghiere di carattere non definitivo. Tuttavia, il Magistero ordinario non è un blocco monolitico. Esso progredisce, approfondisce, e talvolta chiarisce o corregge espressioni del passato alla luce di una più matura comprensione della fede e delle nuove sfide. Il Concilio Vaticano II, evitando deliberatamente il titolo, non ha “cancellato” il passato, ma ha operato un discernimento alla luce di criteri dogmatici (l’unicità di Cristo), pastorali (la chiarezza per il popolo di Dio) ed ecumenici (il dialogo con altri cristiani). Questo discernimento conciliare ha un peso teologico immensamente superiore a citazioni sparse, spesso di carattere omiletico o devozionale. Il Magistero non è una collezione di citazioni, ma un insegnamento vivo che guida la Chiesa.
- Il significato contestuale: il titolo “Corredentrice” fiorisce in un contesto teologico e spirituale – soprattutto tra fine ‘800 e inizio ‘900 – fortemente segnato da una certa comprensione “soddisfazionista” della Redenzione, dove l’accento era posto sulla necessità di un compenso infinito offerto alla Giustizia divina. In quel quadro, il ruolo di Maria poteva essere letto come un “completamento” umano all’opera di Cristo. La teologia successiva, specialmente dopo il Vaticano II, ha recuperato con forza la visione biblica della Redenzione come evento di Amore sovrabbondante e di Alleanza, in cui la Croce è primariamente rivelazione della Misericordia del Padre, non placazione di una sua ira. In questo nuovo orizzonte – che è quello di Mater Populi fidelis – il termine “Corredentrice”, con il suo prefisso “co-”, risulta semanticamente spiazzante e potenzialmente fuorviante. Difenderlo solo perché “si è sempre usato” significa ignorare il mutato contesto teologico in cui le parole acquistano senso.
II. Il prefisso “Co-“: un rischio reale, non un fantasma teorico
L’IMA sostiene che il prefisso “co-” (cum) sottolinea proprio la subordinazione e dipendenza di Maria da Cristo, e che una spiegazione adeguata elimina ogni equivoco. Ma questa fiducia nella spiegabilità del termine è ingenua dal punto di vista pastorale e comunionale.
- La logica del linguaggio: nel linguaggio comune e teologico, il prefisso “co-” indica una partnership, una collaborazione in un’opera comune. Applicato alla Redenzione – opera che per definizione è assolutamente unica e non ripetibile – crea inevitabilmente una tensione semantica. Anche con tutte le spiegazioni del mondo, la struttura della parola suggerisce un’azione “accanto a”, “insieme a”. Il popolo di Dio, nella sua semplicità, non ascolta le sottili distinzioni teologiche prima di pregare; assimila le immagini e i titoli. Perché scegliere, per amore di una tradizione terminologica, una parola che strutturalmente richiede una “numerose e continue spiegazioni” (MPF, n. 22) per non essere fraintesa, quando esistono titoli biblicamente solidi e immediatamente comprensibili come “Madre del Popolo fedele” o “Prima Discepola”?
- La questione ecumenica: L’IMA minimizza le ragioni ecumeniche, affermando che il Concilio omise il titolo solo perché “difficile da comprendere per i fratelli separati”. Ma questa è già una ragione pastorale di carità enorme! Per i cristiani delle Chiese della Riforma, l’affermazione “Cristo è l’unico Mediatore” (1Tim 2,5) è un pilastro irrinunciabile. Presentare Maria con un titolo che, anche solo foneticamente, suona come “co-redentrice”, costituisce una barriera quasi insormontabile per il dialogo. Non si tratta di tradire la fede cattolica per compiacere gli altri, ma di esprimerla con un linguaggio che, pur nella differenza, non la renda irriconoscibile o caricaturale agli occhi di chi condivide con noi il fondamento cristologico.
III. Il Cuore del Problema: Quale Immagine di Dio?
Qui si tocca il punto più profondo a cui la risposta dell’IMA sembra totalmente cieca. La difesa accanita della “Corredentrice” spesso tradisce, consciamente o meno, una visione “contabile” o “giudiziaria” della salvezza.
- Maria come “Parafulmine” vs. Dio-Amore: dietro l’insistenza su Maria “Corredentrice” si può celare l’idea di un Dio la cui Giustizia (intesa come giustizia retributiva) è talmente severa da aver bisogno, oltre al sacrificio del Figlio, anche del “contributo” della Madre per essere pienamente placata. Maria diventerebbe così il “parafulmine” che ci protegge dai fulmini dell’ira divina. Questo è un fraintendimento gravissimo del Mistero pasquale. In Cristo, Dio non è stato “placato”; si è autorivelato come Amore che si dona fino all’estremo. La Croce non è la condizione posta da un Padre esigente, ma il gesto libero del Figlio che, nell’obbedienza d’amore, svela l’abisso della Misericordia del Padre. In questo quadro, l’idea di un “contributo” umano (per quanto sublime) all’“opera redentiva oggettiva” rischia di reintrodurre subdolamente l’idea che l’Amore di Dio in Cristo non fosse sufficiente, che avesse bisogno di un “qualcosa in più” da parte della creatura. Questo “qualcosa in più” non onora Maria; sminuisce, anche se involontariamente, la pienezza e sufficienza assoluta dell’Evento Cristo.
- La Vera Grandezza di Maria: la Fede, non la “Corredenzione”: l’IMA lamenta che Mater Populi fidelis non affermi che il ruolo unico di Maria è “redentore”. Ma è proprio questo il punto: la grandezza unica di Maria non sta in una presunta “corredenzione” che la affiancherebbe ontologicamente a Cristo, ma nella sua fede. Ella è la “piena di grazia”, la “serva del Signore”, la “credente” che si fida totalmente della Parola. La sua sofferenza ai piedi della Croce è immensa, ma il suo valore salvifico non sta in sé come “complemento” al sacrificio di Cristo. Sta nell’essere la risposta di fede perfetta dell’umanità a quell’offerta di salvezza. Maria non aggiunge nulla a Cristo; accoglie perfettamente tutto da Lui. Questo è il senso della sua “cooperazione”: non un’azione parallela, ma un consenso totale e un’adesione di fede che la rendono il prototipo della Chiesa. Ridurre questa sublime vocazione di discepolato radicale a un titolo come “Corredentrice” significa, paradossalmente, impoverirla.
IV. Conseguenze pastorali: costruire o dividere?
L’IMA esprime preoccupazione per l’effetto del documento su devozioni, comunità religiose e sulla fiducia dei fedeli nel Magistero. Queste preoccupazioni sono comprensibili, ma vanno rovesciate.
- Purificazione, non distruzione, della devozione: La devozione mariana più autentica è quella che conduce a Cristo. Se una pratica devozionale poggia su un titolo teologicamente ambiguo e potenzialmente fuorviante, la sua purificazione non è un attacco alla pietà popolare, ma un servizio alla sua verità e maturità. La consacrazione a Maria, il Rosario, lo Scapolare sono pratiche solide proprio perché si fondano sulla mediazione materna e intercessoria di Maria, non sul titolo specifico di “Corredentrice”. Anzi, liberare queste devozioni dall’onere di dover difendere un termine controverso le rafforza, permettendo di risplendere nella loro essenza più semplice e evangelica.
- Fiducia in un Magistero che guida, non che ratifica: la fiducia nel Magistero non nasce dal fatto che esso ripeta sempre le stesse cose, ma dal fatto che, guidato dallo Spirito, sa discernere ciò che serve alla salvezza delle anime in ogni tempo. Un Magistero che, dopo un serio discernimento, chiarisce e orienta – come ha fatto il Vaticano II e come fa Mater Populi fidelis – è un Magistero vivo e responsabile. Chiedere che ratifichi sempre e comunque espressioni del passato significherebbe ridurlo a notaio, non a pastore.
Conclusione: Maria, Guida verso il Costato Aperto
La replica dell’IMA, pur erudita, sembra muoversi su un piano diverso rispetto a Mater Populi fidelis. L’IMA difende un patrimonio terminologico; il documento vaticano e la mia interpretazione a supporto propongono una chiarificazione teologica vitale per la fede del popolo di Dio. Il vero omaggio a Maria non sta nel difendere a oltranza un titolo che rischia di confondere i fedeli e di allontanare i fratelli cristiani. Sta nel riconoscerla per quello che è, secondo le Scritture e il Concilio: la Madre del Popolo fedele, la prima e perfetta Discepola, la Icona della Chiesa. La sua potente intercessione non è quella di una “corredentrice” che completa l’opera del Figlio, ma quella della Madre che, unita intimamente a Lui, ci prende per mano e ci conduce al Costato aperto di Cristo, unica fonte della salvezza, dove la Giustizia e la Misericordia di Dio si rivelano come un unico, infinito abbraccio di amore. Abbandonare il titolo “Corredentrice” non è un passo indietro, ma un passo avanti verso una mariologia più evangelica, più ecumenica e, in definitiva, più glorificante per Maria, perché la colloca nella verità luminosa della sua vocazione: essere, per tutti noi, la stella che indica l’unico Sole, Cristo Signore.
