L’AMORE PIÙ GRANDE

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Questo è il mio comandamento:

che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati.

Nessuno ha un amore più grande di questo:

dare la vita per i suoi amici.

(Giovanni 15, 12-13)

           Su Gerusalemme scendeva il crepuscolo di un giorno di primavera. In una casa, al piano superiore, in una stanza adorna di tappeti, un uomo, circondato da alcuni amici, consumava una cena solenne. Erano state le sue parole ad aprire quel banchetto, parole appassionate, distese in una serie di appelli e di temi reiterati, mai però uguali, proprio come accade alle onde della risacca sul litorale del mare, flutti illuminati dalla luna, pronti a ritornare su se stessi, eppure mai identici nel loro sfrangiarsi.

           Sì, gli esegeti hanno usato proprio questa immagine delle onde che si rincorrono per descrivere le indimenticabili parole-testamento che Gesù quella sera, l’ultima della sua vita terrena, aveva affidato alla memoria di Giovanni – che le riferirà nel suo Vangelo – e degli altri discepoli. Noi, come siamo soliti fare in questa nostra antologia di frasi “alte” della Bibbia, abbiamo scelto un frammento che, tuttavia, rispecchi in sé la pienezza di quelle parole, la loro tonalità di fondo.

           È un appello, ritmato tre volte – nella ventina di vocaboli greci che compongono il testo originale – sul termine agápe, “amore”, una parola che sarà come il filo d’oro che tiene insieme anche la lunga collana di quei discorsi serali di Cristo. Due sono le luci ideali che reggono la frase da noi evocata. Innanzitutto l’esempio su cui è modellato l’amore richiesto al discepolo di Gesù. Nell’Antico Testamento – ed era già un monito così forte da essere stato ripreso dallo stesso Cristo durante la sua predicazione pubblica – si esigeva che si amasse il prossimo «come se stessi» (Levitico 19,18). Un impegno radicale, modulato su quell’istinto spontaneo che ci fa tutelare il nostro essere intimo ed esterno.

           Ora, invece, ecco la variazione: non «come se stessi», ma «come io vi ho amati», ossia nella pienezza della donazione del Figlio di Dio, invito quindi ad avere un amore perfetto come quello divino («Siate perfetti, come perfetto è il Padre vostro celeste», aveva detto Gesù in Matteo 5, 48). Ecco, allora, la seconda luce che s’intreccia con la prima: l’amore cristiano autentico dev’essere assoluto, disposto a giungere alla frontiera della donazione estrema. Il pensiero corre, ad esempio, a una madre che, di fronte al figlio che rischia la vita, non esita a mettere a repentaglio la sua, dimenticando quell’amore di sé che pure è grande. Sì, quello di Cristo è «l’amore più grande»: nella sera del Giovedì Santo aleggiava sotto le volte del Cenacolo e poche ore dopo si sarebbe manifestato sul colle delle esecuzioni capitali detto in aramaico Golgota, in latino Calvario, cioè Cranio.