SEGRETARIATO PER I NON CREDENTI
Il documento che viene oggi pubblicato dal Segretariato per i non Credenti ha lo scopo di promuovere, in conformità al carattere del Segretariato stesso[1], il dialogo tra credenti e non credenti e di condurlo a buon fine, secondo la natura propria del dialogo. A tale scopo vengono fatte considerazioni per spiegare chiaramente la natura del dialogo e come esso si distingua dalle altre forme di rapporto tra credenti e non credenti, vengono esposte le condizioni essenziali del suo svolgimento e si propongono le norme principali che ne derivano.
Per quanto il dialogo, così com’è inteso in questo documento, non persegua necessariamente un fine apostolico, tuttavia include per i cristiani la testimonianza della propria fede e pertanto si collega a modo suo con il dovere della Chiesa di diffondere il Vangelo. Inoltre, può avvenire che i credenti siano indotti dal dialogo con i non credenti non solo ad una conoscenza più piena dei valori umani, ma anche ad una migliore penetrazione della sfera del religioso.
Questo documento è destinato anzitutto ai cristiani, e da questo punto di vista attinge molto ai documenti ecclesiastici che riguardano il nostro argomento; ma espone ciò che concerne il dialogo in modo tale che anche i non credenti possano comprenderlo e accettarlo.
IL DIALOGO CON I NON CREDENTI
INTRODUZIONE
1. La dignità e il valore della persona umana sono sempre meglio riconosciuti dagli uomini d’oggi, dato il generale progresso della cultura e della società e nonostante le inquietudini che l’attuale evoluzione del mondo comporta.
Infatti, l’intensificarsi delle relazioni umane ha favorito la presa di coscienza del pluralismo quale dimensione caratteristica del nostro tempo. Vero pluralismo, però, si può avere soltanto se gli uomini e le comunità, diversi per indole e cultura, dialogano fra loro[2] .
Come sottolinea l’enciclica Ecclesiam Suam, « (il dialogo) è certamente suggerito anzitutto dall’abitudine ormai diffusa di così concepire le relazioni fra il sacro e il profano, dal dinamismo trasformatore della società moderna, dal pluralismo delle sue manifestazioni, nonché dalla maturità dell’uomo, sia religioso sia non religioso, fatto abile dall’educazione civile a pensare, a parlare, a trattare con dignità di dialogo »[3].
In tal modo il dialogo, in quanto fondato su un mutuo rapporto tra gli interlocutori implica il riconoscimento della dignità e del valore dell’altro in quanto persona.
Il cristiano trova nella vocazione soprannaturale dell’uomo ulteriori motivi per affermare ancor più fortemente tale valore e dignità. D’altra parte non sfugge alla Chiesa come, in virtù del mistero dell’Incarnazione, ogni sforzo che si compia per rendere il mondo più umano non solo la interessa molto, ma entra anche nella sua sfera di competenza[4].
Di conseguenza, i cristiani sono chiamati a promuovere in ogni modo possibile il dialogo tra gli uomini ad ogni livello, come espressione di un amore fraterno rispettoso delle esigenze di una umanità adulta e in crescente progresso.
« La Chiesa infatti », secondo il Concilio Vaticano II, « in forza della missione che ha di illuminare tutto il mondo con il messaggio evangelico e di radunare in un solo spirito tutti gli uomini di qualunque nazione, stirpe e civiltà, diventa segno di quella fraternità che permette e rafforza un sincero dialogo »[5] .
Certamente, la volontà del dialogo non esclude altre forme di comunicazione, come per esempio l’apologetica, il confronto, la discussione, né esclude la rivendicazione dei diritti della persona umana. Tuttavia, l’atteggiamento aperto e comprensivo, che è alla base del dialogo, è richiesto in generale da ogni forma di rapporto sociale.
Tale atteggiamento esige « correttezza, stima, simpatia, bontà »[6], che possono derivare soltanto dal riconoscimento e dall’accettazione dell’« altro » in quanto tale.
La volontà di dialogare, infine, è un aspetto di quel rinnovamento generale della Chiesa, che comporta anche un maggior apprezzamento della libertà. « La verità », come insegna il Concilio Vaticano II, « va cercata in modo rispondente alla dignità della persona umana e alla sua natura sociale: e cioè con una ricerca condotta liberamente, con l’aiuto del magistero e insegnamento, per mezzo della comunicazione e del dialogo, con cui, allo scopo di aiutarsi vicendevolmente nella ricerca, gli uni rivelano agli altri la verità che hanno scoperta; e alla verità conosciuta si deve aderire fermamente con assenso personale »[7] .
2. « Per quanto ci riguarda », si legge nella Costituzione Pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, « il desiderio di stabilire un dialogo che sia ispirato dal solo amore della verità e condotto con la opportuna prudenza, non esclude nessuno »[8].
Per parte sua, l’enciclica Ecclesiam Suam indicava per la Chiesa Cattolica tre cerchi concentrici di interlocutori, cioè tutti gli uomini, molti dei quali non hanno alcuna religione, quindi i seguaci di religioni non cristiane e infine i nostri fratelli cristiani non cattolici. Al fine di instaurare il dialogo con questi tre generi di interlocutori, Paolo VI ha istituito tre Segretariati: per l’unione dei cristiani, per i non cristiani e per i non credenti.
Il dialogo, in modo specialissimo quando si instaura con i non credenti, pone problemi particolari e in parte almeno nuovi[9]. D’altronde, nelle numerose iniziative che prendono vita allo scopo di attivare tale dialogo, i cattolici, giustamente preoccupati e solleciti della verità e dei valori della fede cristiana, possono incontrare alcune difficoltà. È perciò che il Segretariato per i non credenti ha ritenuto utile proporre alcune riflessioni e direttive, sulla base dei recenti documenti del magistero pontificio e conciliare.
Nell’enciclica Ecclesiam Suam, Paolo VI tratta a lungo del dialogo dal punto di vista apostolico: con il dialogo così inteso la Chiesa adempie la sua precipua missione, che è l’annuncio del Vangelo a tutti gli uomini per offrir loro, con rispetto ed amore, il dono della verità e della grazia di cui Cristo l’ha resa depositaria.
Nella Costituzione Pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo si parla piuttosto del dialogo tra la Chiesa e il mondo: tale dialogo non mira direttamente ad annunciare il Vangelo. Si tratta infatti del dialogo che i cristiani intendono instaurare con gli uomini che non hanno la stessa fede, sia per ricercare insieme la verità in vari settori, sia per collaborare alla soluzione di grandi problemi dell’umanità del nostro tempo. Al dialogo così inteso tra la Chiesa e il mondo si riferiscono le riflessioni che seguono.
I NATURA E CONDIZIONI DEL DIALOGO
1. Il dialogo in generale
In termini generali, si intende qui per dialogo ogni forma di incontro e di comunicazione fra persone, gruppi o comunità nell’intento di realizzare o una maggior comprensione della verità o migliori relazioni umane, in un’atmosfera di sincerità, di rispetto delle persone e con una certa reciproca fiducia.
Il dialogo è particolarmente importante e complesso quando si instaura fra persone di opinioni diverse, a volte anche opposte, che tendono a dissipare i reciproci pregiudizi e ad allargare, nella misura del possibile, le loro convergenze, sia sul piano delle semplici relazioni umane, sia anche in ordine alla ricerca della verità o ai fini di una collaborazione pratica nei più diversi settori.
Tutte queste dimensioni sono presenti nelle varie forme del dialogo. Ma, dal momento che l’una o l’altra di esse può assumere un ruolo preponderante, si possono distinguere tre tipi fondamentali di dialogo, cioè:
— incontro sul piano delle semplici relazioni umane, che si propone di far uscire gli interlocutori dall’isolamento, dalla mutua diffidenza e di creare un’atmosfera di maggior «simpatia», di stima reciproca e di rispetto;
— incontro sul piano della ricerca della verità che, trattando questioni di grandissima importanza per le persone stesse degli interlocutori, indirizza lo sforzo comune ad una migliore comprensione della verità e ad una più ampia conoscenza delle cose;
— incontro sul piano dell’azione, che tende a stabilire le condizioni per una collaborazione in vista di determinati obiettivi pratici, nonostante le eventuali divergenze dottrinali.
Per quanto sia desiderabile che il dialogo si realizzi simultaneamente secondo queste tre forme, ciascuna di esse tuttavia, instaurando un incontro interpersonale, conserva un suo proprio valore.
Il dialogo implica una certa reciprocità, nel senso che ciascuno degli interlocutori dà e riceve. Si distingue pertanto dall’insegnamento, che è essenzialmente ordinato alla formazione del discepolo che colloquia col maestro. Tuttavia il dialogo, in quanto comporta l’arricchimento dottrinale del pubblico che vi assiste, costituisce nei suoi confronti una forma di insegnamento ed anche un annuncio implicito della verità evangelica.
Il dialogo, come qui lo intendiamo, si distingue anche dalla polemica e dalla controversia, in quanto queste sono finalizzate, anzitutto, alla difesa delle proprie posizioni e alla dimostrazione dell’errore altrui.
Il dialogo inoltre non consiste propriamente in un semplice confronto, dal momento che deve tendere a far sì che le due parti si avvicinino e si comprendano maggiormente. Infine, anche se ciascuno degli interlocutori può legittimamente aspirare a persuadere l’altro della verità delle proprie convinzioni, il dialogo non è per natura sua ordinato a questo scopo, ma ad un vicendevole arricchimento.
2. Il dialogo dottrinale
1. Possibilità e legittimità di tale dialogo
Spesso si discute sulla stessa possibilità del dialogo dottrinale. Si domanda se, affinché il dialogo sia sincero, non si richieda il rifiuto di ogni verità assoluta e se l’apertura al dialogo non implichi un atteggiamento di perenne ricerca. Si chiede pure se, nel caso che si ammetta la possibilità di una verità assoluta, il dialogo possa coesistere con la persuasione di possederla: la disposizione al dialogo sembra infatti implicare il dubbio su ogni verità assoluta.
Ancora: si può dialogare quando gli interlocutori partono da due diversi sistemi di pensiero? Se è vero che un’affermazione assume il suo senso preciso soltanto se rapportata all’insieme del sistema, non si deve escludere la possibilità di un vero dialogo quando si parte da sistemi differenti?
Inoltre, da un’analisi della nozione di verità quale oggi è concepita da molti, si desume che la verità è intesa come immanente all’uomo, da esso stesso dipendente e dalla sua libertà, così che non si ammette l’esistenza di una verità che non abbia origine dall’uomo stesso; conseguentemente il dialogo dottrinale verrebbe a mancare del proprio fondamento, dal momento che i cristiani, rigettando il principio dell’immanenza, si attengono ad una nozione della verità assolutamente diversa.
Per quel che poi concerne in particolare il dialogo pubblico, si chiede se sia lecito porre allo sbaraglio la fede di un’assemblea non sufficientemente preparata alla contestazione.
Vorremmo pertanto qui di seguito indicare alcune linee per affrontare e risolvere queste difficoltà.
Il dialogo dottrinale è un colloquio improntato ad una sincerità coraggiosa, condotto in un clima di libertà e di rispetto, su problemi dottrinali che concernono in qualche modo le stesse persone dialoganti, svolto fra soggetti che, pur avendo opinioni differenti, si impegnano tuttavia mutuamente al fine di pervenire ad una migliore vicendevole comprensione, per mettere in luce e, per quanto è possibile, allargare le proprie convergenze. In tal modo il dialogo può portare al reciproco arricchimento delle parti.
Da una parte, dunque, il dialogo esige che si faccia attenzione al carattere personale della conquista della verità da parte del soggetto; si dovrà quindi tener conto delle condizioni e della situazione particolare di ciascuno degli interlocutori, con le limitazioni che ne seguono circa la prospettiva dalla quale ognuno affronta i problemi; la coscienza dei limiti inerenti ai singoli individui e alle comunità come si sono storicamente configurate crea la disponibilità a prendere in considerazione le opinioni e istanze degli altri e ad accogliere gli elementi di verità di ciascuna parte.
D’altronde, però, il dialogo, in quanto ricerca della verità, non ha senso se non si ha fiducia nell’intelligenza umana e non si ammette che essa è capace di attingere la verità, almeno in una certa misura; che è in grado di coglierne sempre alcuni aspetti, sia pure frammisti ad errore. Inoltre, dal momento che ciascuno ricerca e attinge la complessità del reale in una prospettiva personale e in certo senso unica, offre alla ricerca della verità un contributo insostituibile, meritevole di attenzione da parte degli altri.
In tali condizioni, l’affermazione della possibilità della verità non soltanto è consona al dialogo ma ne è una condizione necessaria; non si può, dunque, pensare di subordinare le esigenze della verità a quelle del dialogo, come sembrano fare certe forme di irenismo. Anzi, il dialogo deve nascere dal dovere morale che ciascuno ha di ricercare la verità in ogni cosa e in special modo nelle questioni religiose.
Inoltre, il fatto che ciascuno degli interlocutori reputi di essere nel vero, non rende inutile il dialogo poiché non contrasta con la sua natura. Il dialogo, infatti, si instaura partendo da due posizioni differenti con l’intento mutuo di chiarirle e possibilmente avvicinarle; è pertanto sufficiente che ciascuno degli interlocutori ritenga che la verità che possiede possa crescere attraverso il dialogo con l’altro.
Ora, un simile atteggiamento deve essere accettato e coltivato con ogni sincerità da parte dei credenti. Le verità della fede infatti, in quanto rivelate da Dio, sono in sé assolute e perfette, ma sono sempre inadeguatamente penetrate dal credente, il quale pertanto può sempre crescere nella loro intelligenza e meditazione. Del resto, non tutto ciò che i cristiani affermano procede dalla Rivelazione e il dialogo con i non credenti può aiutarli a distinguere ciò che da essa deriva, dal resto e a scrutare, inoltre, i segni dei tempi alla luce del Vangelo.
La fede cristiana, poi, non esime i credenti dal ricercare mediante la ragione i presupposti razionali della loro fede, anzi il cristiano è impegnato ad abbracciare coraggiosamente tutto ciò che la ragione umana rettamente esige, essendo certo in forza della stessa fede che mai essa può trovarsi in contrasto con la ragione. Infine, il cristiano sa che la fede non gli fornisce la risposta a tutti i problemi, per quanto gli indichi con quale animo e per quali vie deve affrontrarli, nel campo del temporale soprattutto, che rimane un terreno vastissimo aperto alla ricerca[10].
Per quanto riguarda la difficoltà connessa con l’unità interna del sistema, ricordiamo che il dialogo è possibile anche quando tra gli interlocutori si danno soltanto alcune convergenze parziali; infatti, se in un certo sistema di pensiero è possibile trovare alcune verità e alcuni valori, che non derivano necessariamente il proprio significato e importanza dal sistema, sì che possano sussistere anche fuori di esso, è sufficiente che questi vengano posti nella loro luce propria perché si possa realizzare un qualche consenso.
Anche fra gli uomini divisi da divergenze radicali può sempre darsi una possibilità di incontro e di comunicazione. Tenendo, quindi, in considerazione la coesione interna dei sistemi, si dovranno distinguere i vari livelli ai quali il dialogo si situa, poiché può accadere che sia possibile ad un certo livello e non ad un altro. Si avverta, in particolare, che la sfera dell’umano ha una sua legittima autonomia[11] e di conseguenza divergenze di ordine religioso non escludono necessariamente una convergenza su questioni di ordine temporale.
Non si può negare d’altra parte che il dialogo risulti più difficile dal fatto che gli interlocutori abbiano una diversa nozione della verità e divergano sui princìpi stessi della ragione. In tal caso, primo compito del dialogo dovrà essere proprio quello di pervenire ad una nozione della verità e dei princìpi della ragione che possa essere accettata da tutte le parti in colloquio. Se ciò non fosse possibile, non si deve per questo affermare che il dialogo è inutile. Infatti, non è di poco conto stabilire i limiti oltre i quali non si può andare. Non è d’altronde necessario che il dialogo sia instaurato comunque e ad ogni costo.
Il rischio poi della contestazione è pressoché inevitabile in una società pluralistica come la nostra. Sorge di qui l’esigenza che i fedeli siano preparati ad affrontare questo rischio, specialmente per il dialogo pubblico il quale, se convenientemente preparato, può a sua volta contribuire notevolmente a far maturare la fede. Il dialogo pubblico, inoltre, offre agli interlocutori la possibilità di proporre le proprie posizioni dottrinali a persone che sarebbe altrimenti impossibile raggiungere.
Il dialogo tra credenti e non credenti, pur comportando dei rischi, è dunque non solo possibile ma raccomandabile. Esso potrà svolgersi su tutti i temi accessibili alla ragione umana, come ad esempio filosofici, religiosi, morali, storici, politici, sociali, economici, artistici e in genere « culturali ». La fedeltà a tutti i valori spirituali e mondani impone al cristiano di riconoscerli ovunque essi si trovino[12]. Tale dialogo può anche vertere sui valori che per la vita e la cultura dell’uomo possano derivare dalle verità dell’ordine soprannaturale.
2. Condizioni del dialogo dottrinale
Il dialogo, per conseguire i propri obiettivi, deve rispettare le esigenze della verità e della libertà. Deve anzitutto ricercare sinceramente la verità, sì che il dialogo dottrinale debba essere escluso quando appare strumentalizzato a finalità politiche contingenti. Ciò crea difficoltà particolari nel caso del dialogo con i marxisti che aderiscono al comunismo, a motivo degli stretti legami che essi stabiliscono tra la teoria e la prassi; ne segue una certa impossibilità a conservare distinti i livelli del dialogo, di modo che lo stesso dialogo dottrinale viene trasformato in dialogo pratico.
La fedeltà alla verità si deve altresì tradurre in uno sforzo di chiarezza nella presentazione e nel confronto delle rispettive posizioni, affinchè non avvenga che per mezzo di parole aventi lo stesso suono, ma usate secondo accezioni diverse si arrivi a mascherare anziché a superare le divergenze. Si richiede, quindi, che si determini chiaramente il senso in cui dalle due parti vengono usati gli stessi termini perché, eliminata ogni ambiguità, il dialogo si svolga correttamente.
Il dialogo dottrinale richiede anche un certo coraggio, sia per esporre con tutta sincerità le proprie posizioni, sia anche per riconoscere la verità dove essa si trovi, anche quando ciò impegna gli interlocutori alla revisione di alcune posizioni dottrinali e pratiche.
Il dialogo potrà essere giovevole soltanto se gli interlocutori hanno una vera competenza; in caso contrario, il beneficio del dialogo può rivelarsi sproporzionato ai rischi che comporta. Nel dialogo infine la verità deve imporsi soltanto in virtù di se stessa[13]: occorre, dunque, che la libertà degli interlocutori sia giuridicamente riconosciuta ed effettivamente rispettata.
3. Il dialogo sul piano dell’azione
Il dialogo può anche instaurarsi in vista di una collaborazione tra persone, gruppi o comunità, che hanno orientamenti dottrinali differenti e a volte perfino opposti.
È da osservare anzitutto che movimenti nati da dottrine contrarie al cristianesimo possono talvolta evolvere verso posizioni che non sono più essenzialmente solidali con quelle di partenza[14]. Anzi, come abbiamo già detto, le divergenze globali tra sistemi non escludono convergenze parziali nell’affermazione di certi valori. In particolare, le divergenze nell’ambito religioso non escludono convergenze nella sfera temporale che, secondo la Costituzione Pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, è autonoma nel proprio ordine.
E anche quando non sia possibile realizzare convergenze dottrinali, è possibile tuttavia pervenire ad accordi su certi obiettivi pratici. Però, affinchè questo accordo e questa collaborazione siano legittimi, occorre che siano rispettate alcune condizioni: cioè che gli obiettivi perseguiti siano buoni o riducibili al bene[15]; inoltre, che la collaborazione non comprometta valori più fondamentali, quali l’integrità dottrinale e i diritti della persona (per esempio le libertà civili, culturali e religiose). Per giudicare dell’esistenza di tali condizioni, si terrà conto dei programmi presentati dai dialoganti per il presente o per il futuro, e delle esperienze storiche già realizzate.
Il giudizio prudenziale sulla opportunità della collaborazione è, dunque, relativo alle varie situazioni storiche, di tempo e di luogo. Per quanto spetti soprattutto ai laici il valutare tali circostanze, la Gerarchia, nel rispetto della legittima autonomia e della competenza propria dei laici, ha tuttavia il compito di vigilare e di intervenire quando ciò è richiesto per la difesa dei valori religiosi e morali.
II. NORME PRATICHE
Le direttive che seguono vanno considerate come corollari desunti dalla natura e dalle condizioni del dialogo; esse sono necessariamente molto generali, sia perché le situazioni variano da paese a paese, sia anche perché compete alla prudenza dei Pastori e dei Fedeli l’applicarle nei casi concreti. Per esempio, occorre distinguere i paesi di antica tradizione cristiana da quelli in cui il Vangelo non è stato ancora annunciato, e inoltre dai paesi che, per quanto abitati prevalentemente da cristiani, sono attualmente retti da governi che si dichiarano atei. D’altra parte, mentre è sperabile che ulteriori esperienze possano suggerire in futuro direttive più opportune, è compito delle Conferenze Episcopali delle singole nazioni adattare le norme generali alle situazioni locali.
1. Norme per promuovere il dialogo
Alla luce del Concilio Vaticano II, è auspicabile che l’opinione pubblica nell’ambito della Chiesa sia sensibilizzata riguardo alla grandissima opportunità di aprirsi al dialogo.
1. Nella educazione e formazione del clero, è necessario a questo scopo che le discipline filosofiche e teologiche si insegnino in maniera che gli alunni, « provvisti di un’adeguata conoscenza della mentalità moderna, possano opportunamente prepararsi al dialogo con gli uomini del nostro tempo »[16], anche con i non credenti; perciò i futuri sacerdoti dovranno essere guidati ad una seria conoscenza delle principali forme di non credenza (soprattutto di quelle più diffuse nel proprio paese), nonché della natura e dei fondamenti filosofici e teologici del dialogo. Queste stesse finalità dovranno essere perseguite ad un livello particolarmente profondo nelle Università e nelle Facoltà Ecclesiastiche.
2. Nell’aggiornamento pastorale del clero (corsi, settimane di studi, congressi, ecc.) speciale attenzione dovrà essere riservata ai problemi del dialogo con i non credenti, con particolare riferimento alle situazioni concrete nelle quali gli ecclesiastici svolgono il loro ministero pastorale.
3. È parimenti necessario che sul dialogo con i non credenti siano organizzati corsi di cultura religiosa superiore per esperti, giornate di studio e congressi per i laici, particolarmente per i giovani e per coloro che sono impegnati nell’apostolato cristiano.
4. Anche la predicazione e l’insegnamento catechetico devono tener conto di questa dimensione, alla quale nella nostra epoca la Chiesa si è aperta in maniera tutta particolare.
5. Le questioni concernenti lo studio dell’ateismo e il dialogo dovranno, inoltre, trovare spazio e attenzione negli organismi diocesani e nazionali, collegati in qualche maniera al Segretariato romano per i non credenti, e agenti sotto la responsabilità della Gerarchia locale. Tali organismi si gioveranno della collaborazione di esperti ecclesiastici e laici dei due sessi per promuovere ricerche, studi e organizzare corsi e incontri.
6. È auspicabile che una collaborazione veramente ecumenica si stabilisca in questo settore tra i cattolici e gli altri cristiani, sul piano internazionale, nazionale e regionale.
7. La collaborazione dovrà estendersi anche a tutti i non cristiani che hanno una sincera fede religiosa, soprattutto i Giudei e i Musulmani, in vista dell’instaurazione del dialogo con i non credenti.
2. Norme Direttive
Si impone anzitutto una prima distinzione tra dialogo pubblico e privato.
Per il dialogo privato, cioè per gli incontri, sia spontanei sia organizzati, riservati soltanto ad alcuni individui o a gruppi ristretti, non si possono dare direttive particolari al di fuori delle esigenze di prudenza e di bontà che devono guidare ogni responsabile atto umano e cristiano.
Si può, tuttavia, ricordare, in particolare:
1. Per realizzare un dialogo il più fecondo possibile, è necessario anzitutto conoscere bene l’argomento di cui si tratta, non soltanto in relazione al punto di vista dell’altro interlocutore, ma anche e soprattutto alla dottrina cristiana.
2. Nel caso in cui il fedele avverta l’insufficienza della propria preparazione, dovrà ricorrere all’aiuto di una persona competente o indirizzare ad essa l’interlocutore.
3. Si faccia bene attenzione, inoltre, alla grave responsabilità morale di non tradire, cedendo cioè, a un facile irenismo o sincretismo, il contenuto autentico della fede, e di non mettere imprudentemente in pericolo la stessa adesione personale ad essa.
4. Non si deve, infine, sottovalutare il contributo che la testimonianza di una vita retta e coerente con la propria fede può offrire all’efficacia di un incontro umano.
* * *
Il dialogo pubblico, quello cioè organizzato tra rappresentanti di una comunità (non necessariamente con missione ufficiale), siano essi cristiani o seguaci di dottrine e movimenti diversi e anche opposti, richiede maggior prudenza, in considerazione della ripercussione che ne deriva sull’opinione pubblica. Anche a questo riguardo ci limitiamo a poche direttive pratiche di carattere generale:
1.I fedeli cristiani che vi prendono parte, sacerdoti o laici, non soltanto debbono possedere le qualità precedentemente menzionate per il dialogo privato, ma doti ancor più eccellenti, sia in fatto di preparazione dottrinale, in cui debbono avere profonda competenza, sia in tutte quelle altre qualità (come ad esempio autorità morale, efficacia di parola e di presentazione) che un tale dialogo richiede.
2. Se, come qui si suppone, si tratta di un dialogo pubblico a livello non ufficiale (cioè senza un mandato dell’autorità), appare opportuno, per meglio garantire al colloquio la necessaria libertà, che non vi intervengano persone munite di pubblica autorità o incarico, o comunque talmente in vista da impegnare in qualche modo l’istituzione che rappresentano; è comunque necessario che i partecipanti siano fedeli agli orientamenti generali della comunità da cui provengono e della quale tengono in certo modo le veci.
3. Il dialogo ufficiale (ovvero ex mandato) non può essere escluso a priori; raramente comunque possono realizzarsi le condizioni per un tale colloquio tra fedeli cristiani e non credenti, sia perché questi ultimi nella maggior parte dei casi non rappresentano una comunità ma solo se stessi, sia per difetto di omogeneità tra la Chiesa da una parte e le organizzazioni politiche (partiti), sociali o culturali dall’altra. In tali circostanze è importante evitare ogni ambiguità o equivoco sul significato e gli obiettivi del dialogo, nonché sulla volontà di collaborazione.
4. Il dialogo deve essere promosso solo se sussistono circostanze tali (ad esempio di tempo e di luogo) che ne garantiscano l’autenticità: così, per esempio, occorre evitare l’eccessiva pubblicità o la presenza di un pubblico insufficientemente preparato, che potrebbe turbare la serenità del dibattito e farlo degenerare in comizio. Generalmente riescono meglio i colloqui tra un numero limitato di persone competenti per ognuna delle due parti. È opportuno, in qualche caso, accordarsi preventivamente sulle norme del suo svolgimento; infine, è da rifiutare il dialogo, quando appare evidente che esso verrebbe strumentalizzato da una delle parti.
5. In qualche caso, per prevenire ogni possibile malinteso e scandalo, si imporrà una dichiarazione preliminare che precisi il senso, il fine e il contenuto del dialogo in questione.
6. I sacerdoti dovranno ottenere il consenso del proprio ordinario e di quello del luogo in cui il dialogo si svolge; tutti i fedeli cristiani osserveranno le direttive dell’Autorità Ecclesiastica. Questa, per parte sua, si preoccuperà di rispettare la legittima autonomia dei laici nella sfera temporale e sarà attenta alle condizioni generali in cui essi si trovano a vivere.
Oltre al dialogo orale, è da ricordare anche il dialogo scritto, quello cioè che si realizza mediante la collaborazione tra credenti e non credenti su giornali, riviste, o in altri scritti occasionali.
Questa forma di dialogo pubblico richiede una cura maggiore a causa della ripercussione e della diffusione più vaste proprie delle pubblicazioni e, quindi, per la maggiore responsabilità morale dei fedeli che vi partecipano. D’altra parte essa offre maggiori garanzie in quanto è più facile evitare i pericoli dell’improvvisazione e della superficialità. Per questo dialogo è sempre consigliabile che i fedeli sottomettano i loro scritti al giudizio di persone competenti. Tutti poi si atterranno religiosamente alle prescrizioni canoniche vigenti a questo riguardo nel presente o in futuro.
Roma, 28 agosto 1968
FRANZISKUS Card. KONIG
Presidente
Vincenzo Miano
Segretario
[1] « II Segretariato per i non credenti è presieduto da un Cardinale di S.R.E., coadiuvato da un Prelato Segretario e da un Sottosegretario, ed è formato da alcuni Cardinali e Vescovi nominati dal Sommo Pontefice, ai quali si aggiungono consultori eletti da tutto il mondo.
II Segretariato, con l’approvazione del Sommo Pontefice, si dedica allo studio dell’ateismo al fine di indagare le sue motivazioni profonde e, per quanto possibile, instaurare un colloquio con quei non credenti che sinceramente accettino di collaborare » (Regimini Ecclesiae Universae, par. 101, 103).
[2] Gaudium et Spes, 43, 3; 76, 1; 92, 2; Gravissimum Educationis, 6, 2; cfr. anche Populorum Progressio, n. 39i
[3] A.A.S., X (1964), 644; cfr. anche Gaudium et Spes, n. 6:
[4] Cfr. Apostolicam, Actuositatem, n. 7.
[5] Gaudium et Spes, n. 92.
[6] Ecclesiam Suam, n. 46.
[7] Dignitatis Humanae, n. 3.
[8] Gaudium et Spes, n. 92.
[9] Gaudium et Spes, n. 19.
[10] « Ma, volutamente, dinanzi alla immensa varietà delle situazioni e delle forme di civiltà, questa presentazione non ha, in numerosi punti, che un carattere del tutto generale; anzi, quantunque venga presentata una dottrina già comune nella Chiesa, siccome non raramente si tratta di realtà soggette a continua evoluzione, la proposizione della dottrina dovrà essere continuata ed ampliata » (Gaudium et Spes, n. 91,2).
[11] Gaudium et Spes, n. 36 e 59.
[12] Gaudium et Spes, n. 57.
[13] Dignitatis Humanae, n. 1 e 3.
[14] Pacem in Terris, n. 160; Ecclesiam Suam, n. 58
[15] Mater et Magistra, n. 52.
[16] Optatam Totius, n. 15.