BENEDETTA SEI TU FIGLIA

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Benedetta sei tu, figlia, davanti al Dio altissimo più di tutte le donne che vivono sulla terra, e benedetto il Signore Dio che ha creato il cielo e la terra! (Giuditta  13,18)


 

         Il suo nome era già un vessillo: Giuditta, in pratica, è la “Giudea”, ossia la donna ebrea per eccellenza, e la sua città Betulia sembra ammiccare a Betel, una città santa biblica il cui nome significa “casa di Dio” (vedi Genesi 28, 10-22). Lo sfondo storico e geografico del libro – che è giunto a noi solo in greco e che, quindi, è deuterocanonico, accolto tra i libri ispirati solo dai Cattolici e dagli Ortodossi – è molto approssimativo ed espleta più una funzione simbolica che storica. Si vuole, infatti, dipingere in modo emblematico la persecuzione aggressiva contro gli Ebrei e la salvezza offerta a loro per mano di una donna che diventa quasi la mano stessa del Dio liberatore.

         Sembra persino che l’autore abbia distorto le coordinate storiche per costringere il lettore a puntare mente e cuore sull’evento di dolore e di gloria, di arroganza nemica e di forza spirituale che anima l’intera narrazione. Non c’è bisogno di rievocare la notte tenebrosa e la mano di Giuditta che regge la scimitarra con la quale spiccherà il capo del generale nemico ubriaco Oloferne, irretito dal fascino della sua bellezza: giustamente la scena è entrata nell’arte (Tintoretto, Tiziano, Caravaggio, Rubens, Klimt),  nella musica (Juditha triumphans di Vivaldi) e nelle molte riprese letterarie, alcune anche di totale trasformazione, come nel dramma Judith (1984) di Rolf Hochhuth ove l’eroina diventa una giornalista.

         Noi abbiamo scelto un frammento della benedizione che Ozia, capo della città di Betulia, destina a questa gloriosa figlia d’Israele dietro la cui persona si leva, però, il Creatore del cielo e della terra, vero Signore della storia, colui che si schiera dalla parte delle vittime, com’era accaduto durante l’epopea dell’esodo dall’Egitto. Il libro è punteggiato di invocazioni, suppliche, preghiere, inni di lode. Celebre è l’acclamazione che viene rivolta dalla folla a Giuditta: «Tu sei la gloria di Gerusalemme, tu magnifico vanto d’Israele, tu splendido onore della nostra gente» (15,9). Questo canto è entrato in un inno mariano, il Tota pulchra, testimoniando una rilettura della figura di questa donna nella tradizione cristiana. Ormai essa diventava la madre di Cristo che taglia idealmente la testa al serpente satanico.

         Vorremmo, però, marcare un aspetto religioso significativo offerto da questo dramma simbolico, che è anche fieramente nazionalistico («Guai alle genti che insorgono contro il mio popolo – si legge in finale, 16,17 –: il Signore onnipotente le punirà nel giorno del giudizio, metterà fuoco e vermi nelle loro carni e piangeranno nel tormento per sempre!»). Nel cuore dell’evento c’è una donna, che nell’antico Vicino Oriente era priva di diritti e di autonomia personale: è, invece, lei, e non i capi del popolo, a salvare la sua città. Dio sceglie gli ultimi e gli umili per la sua opera di salvezza. Sembra, perciò, di trovare in questo libro la “sceneggiatura” delle parole di san Paolo: «Quello che è debole nel mondo, Dio lo ha scelto per difendere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono» (1 Corinzi 1, 27-28).