COME UN BIMBO SVEZZATO

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Sono quieto e sereno; come un bimbo svezzato  in braccio a sua madre, come un bimbo svezzato è in me l’anima mia.  (Salmo  131, 2)  
 

         «Questo Salmo di fiducia, il 131, purtroppo poco conosciuto, meraviglioso, intimo, delicato poemetto di limpida religiosità, merita di essere considerato tra i più bei Salmi». Così lo studioso tedesco Alois Weiser, nel suo commento al Salterio, definiva questo gioiello poetico e spirituale che, in una trentina di parole ebraiche (ma le indispensabili sono una quindicina), dipinge il volto del vero credente. Al centro c’è l’immagine, per altro celebre, del bambino «in braccio a sua madre»: spesso si è pensato a un neonato tranquillo e sazio dopo aver poppato il latte dal seno della madre.

         In verità, l’originale ebraico evoca un «bimbo svezzato», probabilmente portato sulle spalle della madre alla maniera orientale. In quell’area geografica lo svezzamento ufficiale avveniva molto più tardi che da noi, attorno ai tre anni, ed era una grande festa tribale, come si ricorda ad esempio per Isacco, il figlio di Abramo che, per questo evento, celebrò «un grande banchetto» (Genesi 21,8). Il bambino, protagonista del Salmo, è allora un piccolo svezzato, legato alla madre da un rapporto più “personale” di intimità, non equiparabile al solo istinto fisiologico della fame.

         Semplicità, spontaneità, quindi, ma con una certa consapevolezza e coscienza. Si delinea, così, quell’“infanzia” spirituale che entrerà profondamente anche nella predicazione di Gesù: «Se non diventerete come i bambini, non entrerete nel Regno dei cieli. Perché chiunque si fa piccolo come questo bambino, costui è il più grande nel Regno dei cieli» (Matteo 18, 3-4). L’idea, applicata all’intero Israele, appariva anche in un delizioso quadretto di un profeta che era anche padre, Osea, il quale metteva in bocca a Dio questo stupendo soliloquio: «Quando Israele era fanciullo, io l’ho amato… Gli insegnavo a camminare, tenendolo per mano…, lo traevo con legami di bontà, con vincoli d’amore, ero come chi solleva un bimbo alla sua guancia, mi chinavo su di lui per dargli da mangiare» (11,1-4).

         Il tema dell’“infanzia” spirituale, che pure affiora in tutte le religioni, avrà la sua più alta celebrazione nella tradizione mistica cristiana. Vorremmo evocare solo tre testimonianze. La prima è di santa Teresa di Lisieux, che si era imposta appunto il nome di Teresa di Gesù Bambino: la sua famosa Storia di un’anima è tutta intessuta di espressioni come «le braccia di Gesù», «la piccola via», «restare piccola», «essere umili e piccoli tra le braccia di Dio». La seconda voce è quella di un’altra mistica, suor Elisabetta della Trinità: «Io vado a Dio come il bimbo va da sua madre perché egli colmi e invada tutto e mi prenda in braccio. Bisogna essere semplici così con Dio». E infine, la preghiera di un maestro di spiritualità, Léonce de Grandmaison: «Santa Madre di Dio, conservatemi un cuore di bambino, puro e trasparente come una sorgente!».