COME UNA SPADA
La parola di Dio è viva, energica, più tagliente di ogni spada a doppio taglio, penetrante fin nella divisione tra anima e spirito, giunture e midolla, giudicatrice dei sentimenti e dei pensieri del cuore. (Ebrei 4,12)
«Chi ha scritto questa Lettera? Il vero, Dio solo lo sa!». Così, già nel III secolo, lo scrittore cristiano Origene di Alessandria d’Egitto esprimeva l’enigma delle origini della Lettera agli Ebrei, in passato da alcuni assegnata all’epistolario paolino, ma frutto certamente di un altro autore, forse degli ambienti legati all’Apostolo, un testo dotato di una sua indubbia originalità. Un esempio per tutti: la figura di Cristo è tratteggiata coi caratteri – insoliti nel Nuovo Testamento – di un sommo sacerdote, diverso però dal profilo del sacerdozio ebraico col quale è confrontato per contrasto.
La Lettera è, in realtà, come essa stessa si autodefinisce, «un discorso di esortazione» (13,22), ossia un’omelia o un piccolo trattato teologico, composto in un greco elegante e fin sofisticato. Noi, nella nostra collana di perle letterarie e spirituali bibliche, abbiamo questa volta offerto un passo celebre, dominato da un’immagine vigorosa, quella della spada (Geremia aveva, invece, parlato di “martello” o mazza ferrata in 23, 29), applicata alla parola divina.
È significativo notare che non di rado le Sacre Scritture adottano simboli “offensivi” per raffigurare la forza incisiva che la parola di Dio ha in sé e che dispiega nella storia dell’umanità e nelle vicende personali dei fedeli. Ad esempio, il Cristo dell’Apocalisse è rappresentato con «una spada affilata a doppio taglio che gli esce dalla bocca» (1,16), proprio per evocare quello che il profeta Isaia affermava del re Messia: «La sua parola sarà una verga che percuoterà il violento, col soffio delle sue labbra eliminerà il malvagio» (11,4).
Se si vuole variare la metafora, potremmo dire che la parola divina è come un bisturi che si affonda in profondità, andando oltre la superficie e penetrando fino alle giunture e persino perforando le ossa per cogliere il midollo. Infatti, essa vuole sceverare e giudicare i segreti intimi delle coscienze, ove si celano i pensieri e le passioni più oscure che tendiamo e tentiamo di nascondere talvolta anche a noi stessi. Essa si insedia pure in quel punto delicato ove s’incontrano l’anima che è la nostra identità interiore, e lo spirito che per san Paolo è il principio divino della vita nuova donata da Cristo.
«Non c’è, dunque – continua la Lettera agli Ebrei (4,13) – nessuna creatura che possa nascondersi davanti a Dio e tutto è nudo e svelato ai suoi occhi e a lui noi dobbiamo rendere conto». Ritroviamo, allora, non tanto la religione del terrore, ma quella della serietà, che esige un severo impegno morale, un rigoroso esame di coscienza, come ammoniva anche Gesù: «Chi mi respinge e non accoglie le mie parole ha chi lo condanna: è la parola che ho annunziato a condannarlo nell’ultimo giorno» (Giovanni 12, 48). Quando incontriamo e ascoltiamo Cristo, «mite e umile di cuore», non dimentichiamo che il Signore gli ha, però, reso anche «la bocca come spada affilata» per giudicare e condannare il male (Isaia 42, 2).