La voce del silenzio

Print Mail Pdf
condividi  Facebook   Twitter   Technorati   Delicious   Yahoo Bookmark   Google Bookmark   Microsoft Live   Ok Notizie

Dopo il terremoto ci fu una folgore. Ma il Signore non era nella folgore. Dopo la folgore, ci fu una voce di silenzio sottile. Ed Elia si coprì il volto col mantello.    (1 Re 19,12-13)

         Un uomo avanza solitario sulle pendici scoscese e pietrose del monte Horeb-Sinai. Alle spalle ha ancora il ricordo di giorni pieni di incubi, quando il potere repressivo lo voleva far tacere non solo chiudendogli la bocca, ma anche cercando di eliminarlo fisicamente. È Elia, il profeta, il cui nome è già un programma: «Solo il Signore [Jhwh] è Dio». Non lo è il dio Baal che la regina Gezabele, principessa fenicia di Tiro, seguita dal marito, il re Acab di Israele, vorrebbe imporre al popolo ebraico.

         A contestare la politica religiosa e sociale, colma di prevaricazioni e di ingiustizie, di questa coppia reale era rimasto soltanto lui, Elia, «uomo simile al fuoco, la cui parola bruciava come fiaccola», secondo il ritratto che di lui farà il Siracide, sapiente biblico del II secolo a. C. (48,1). Il profeta, dunque, ascende verso la vetta ove Israele era nato come popolo, in una sorta di pellegrinaggio alle origini.

         Lassù Elia, che durante la marcia nel deserto era persino stato afferrato dalla tentazione di lasciarsi morire, ritrova la sua vocazione profetica, precipitata nella crisi della solitudine e dell’ostilità. Egli, perciò, attende che il Signore gli parli. Ed ecco, forse la voce divina si nasconde nel «vento impetuoso e gagliardo, capace di spaccare i monti e di infrangere le rocce – racconta il Primo Libro dei Re – ; ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento ci fu un terremoto; ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto, ci fu una folgore; ma il Signore non era nella folgore» (19, 11-12).

         È alla fine che accade la grande sorpresa: l’originale ebraico può essere tradotto così: «Dopo la folgore, ci fu il mormorio di un vento leggero». Elia comprende che il vero Dio non è nel clamore, ma nella quiete, non è nella vendetta, ma nella costanza paziente e, secondo la prassi sacrale, si copre il viso perché – come dice la Bibbia – «nessuno può vedere il volto di Dio e rimanere in vita» (Esodo 33,20).

         Tuttavia, quelle tre parole ebraiche, qôl demamah daqqah, prese in sé, significano anche «una voce di silenzio sottile». Dio è, sì, una voce, ma che ha il suo vertice nel silenzio, nel mistero. Irraggiungibile e irriducibile a figure o immagini, egli è ineffabile e invisibile, tant’è vero che il giudaismo non pronuncerà il suo nome, affidandolo solo a quattro consonanti (Jhwh). Eppure, questo Dio silenzioso non è muto, è attivo e rilancerà Elia nella sua missione di giustizia e di verità, e il profeta in quel silenzio ritroverà la sorgente della vera parola che giudica e che salva.