LE QUATTRO COLONNE

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Erano assidui nel seguire l’insegnamento degli apostoli, nella comunione fraterna, nello spezzare il pane e nelle preghiere. (Atti 2,42)

 

         San Girolamo, nella sua Lettera XIX, definiva gli Atti degli apostoli – la seconda opera dell’evangelista Luca, anch’essa dedicata a un misterioso personaggio di nome Teofilo – come frutto del lavoro di uno “storico” accurato e di un “artista” raffinato (il greco usato è uno dei più eleganti del Nuovo Testamento, inferiore forse solo a quello della Lettera agli Ebrei). Ed effettivamente questo libro – fatto di 18374 parole greche, inferiore quantitativamente solo al Vangelo dello stesso autore (19404 parole) – ci offre un vivace e documentato ritratto della Chiesa delle origini cristiane. La storia, infatti, s’intreccia sempre con la dimensione spirituale e teologica.

         È il caso del versetto-sommario che ora vogliamo approfondire insieme. In esso, per così dire, troviamo le quattro colonne che reggono l’architettura interiore della Chiesa di Gerusalemme. Il primo posto è riservato all’annunzio del Vangelo affidato agli apostoli: è la didaché e, come suggerisce questo vocabolo greco, riassume in sé i vari aspetti di quell’annunzio che è anche «insegnamento» didattico nella catechesi dei credenti e non solo la prima proclamazione ai non cristiani (quello che in greco è chiamato il kérygma, appunto il primo “annunzio”). Altrove (in Atti 6,4) si parla della «diaconìa della parola», ossia di un vero e proprio servizio che esige un impegno totale e assoluto da parte degli apostoli, per cui la «diaconìa della carità» ai poveri verrà affidata a sette uomini “laici” che verranno poi chiamati “diaconi”.

         Proprio in questa linea, ecco la seconda colonna che è espressa in greco con un termine che è entrato anche nelle nostre comunità praticanti, la koinonía. Si tratta della «comunione fraterna» che fu vissuta con molto entusiasmo e in modo concreto in quei primi anni del cristianesimo, e ciò viene descritto con intensità da san Luca: «La moltitudine dei credenti era un cuor solo e un’anima sola. Nessuno diceva sua proprietà quello che possedeva ma tutto era tra loro comune… Nessuno tra loro era bisognoso perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano il ricavato e lo deponevano ai piedi degli apostoli perché venisse distribuito secondo le necessità di ciascuno» (4,32-34).

         È quella sorta di “comunismo” religioso e ideale che rifletteva sia elementi biblici (in Deuteronomio 15,4 si legge: «Non vi sarà nessun bisognoso in mezzo a voi…»), sia componenti giudaiche e persino di stampo greco pitagorico o stoico. Non dobbiamo dimenticare, però, che gli stessi Atti degli apostoli segnalano le prime difficoltà nell’applicazione di questa norma comunitaria: il caso della coppia Anania e Saffira, descritto nel capitolo 5, è al riguardo emblematico. Ci rimangono le altre due colonne, certo non meno importanti, ma di più immediata comprensione nel loro significato.

         La terza colonna è la “frazione del pane”, come si dice in greco, ossia il pane eucaristico spezzato nella celebrazione della comunità liturgica. E, infine, ecco «le preghiere»: se l’eucaristia era il peculiare rito cristiano, ciò non toglieva che quei primi giudeo-cristiani frequentassero ancora il tempio di Gerusalemme, ritrovandosi in un’area specifica, «il portico di Salomone» (5,12), cantando i Salmi biblici e il repertorio delle benedizioni e preghiere giudaiche, dimostrando così un legame vivo con la propria matrice culturale e spirituale.