LO SGUARDO VERSO L'ALTO

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Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo. Rivolgete il pensiero alle cose di lassù e non a quelle della terra.   (Colossesi 3, 1-2)

       

         Chi va oggi a cercare l’antica Colossi, «città grande, fiorente, con molti abitanti», come la definiva nel IV secolo a. C. lo storico greco Senofonte, s’imbatte solo in un campo di rovine archeologiche, nei pressi del villaggio di Honez nella Turchia centrale. Se quel nome risuona ancora, è solo per merito di san Paolo che, pur non avendola mai visitata, l’ha resa celebre attraverso la Lettera indirizzata ai cristiani di quella Chiesa, fondata da un suo discepolo, Epafra, originario di quella regione, la Frigia.

         Noi abbiamo ritagliato dallo scritto paolino, piuttosto originale sia nel dettato sia nel messaggio rispetto alle Lettere più famose dell’Apostolo, un frammento di forte suggestione, ma a rischio di essere interpretato in modo fuorviante. Come è evidente, il brano è retto da un contrasto che oppone «le cose di lassù» (in greco tà ánô) a «quelle della terra» (tà epì tês ghês). Un’opposizione radicale che può essere letta secondo una concezione che potremmo definire “alienante”.

         Forse che Paolo vuole indurci a staccare i piedi dalla nostra quotidianità, dalle cose di quaggiù – lavoro, affetti, impegni – per farci lievitare verso i cieli, in un’esperienza mistica esaltata? Ora, se si leggono le Lettere ai Tessalonicesi, ci si accorge che l’Apostolo combatte una simile visione del cristianesimo, meritevole della famosa accusa di essere “oppio dei popoli”. Infatti, senza esitazione, a quei cristiani eccitati ordina di «guadagnarsi il pane lavorando con tranquillità», ricordando loro questa regola severa: «Chi non vuole lavorare, neppure mangi» (2 Tessalonicesi 3, 10.12).

         E allora qual è il vero significato dell’opposizione presente nel testo della Lettera ai Colossesi? La risposta è da cercare in un’altra antitesi cara all’Apostolo, quella tra vecchia e nuova creatura. L’uomo terreno è, quindi, colui che si piega totalmente sulle realtà terrestri, affonda le sue radici nel passato di peccato, senza mai protendersi verso la luce della novità cristiana. Poche righe dopo, infatti, leggiamo nella stessa Lettera queste parole: «Fate morire ciò che appartiene alla terra: impurità, immoralità, passioni, desideri cattivi e quella cupidigia che è idolatria» (3, 5).

         «Rivolgere il pensiero alle cose di lassù» significa, allora, «gettar via tutte queste cose: ira, animosità, cattiveria, insulti e discorsi osceni…, svestirsi dell’uomo vecchio con le sue azioni e rivestire il nuovo, che si rinnova per una piena conoscenza, a immagine di Colui che lo ha creato» (3, 8-9). È una vera e propria torsione della mente e del cuore che si staccano dalla melma della palude dei vizi terreni per respirare l’aria pura che Cristo ha immesso nella storia. È un po’ questo il senso ultimo anche del grido liturgico: Sursum corda! «In alto i cuori!».