NUVOLE, ALBERI, ONDE, ASTRI
Nuvole senza pioggia, portate via dai venti, alberi di fine stagione senza frutto, morti due volte, sradicati. Onde selvagge del mare, che schiumano sporcizia. Astri erranti, votati all’oscurità delle tenebre eterne. (Giuda 12-13)
Con questa vivace cascata di immagini si bolla l’attività perversa dei falsi maestri che turbavano la vita ecclesiale delle origini cristiane. A flagellarli senza pietà è una Lettera neotestamentaria che reca il nome di «Giuda, fratello di Giacomo», nome che l’evangelista Luca attribuisce all’altro Giuda, non l’Iscariota (6,16), da lui elencato tra i Dodici. C’è, però, anche un Giuda tra i cosiddetti «fratelli di Gesù» (Marco 6,3). Chiunque sia l’autore di questo breve scritto (solo 25 versetti), l’apostolo o il parente di Gesù o uno pseudonimo “di autorità” di un altro personaggio della Chiesa dei primi tempi, sta di fatto che il testo è ben scritto e intenso.
In esso si incontrano rimandi non solo all’Antico Testamento, ma anche agli apocrifi giudaici, come il Libro di Enoch o l’Assunzione di Mosè, rivelando così destinatari di matrice giudeo-cristiana. La passione che vibra in questa pagina è, però, tutta convogliata verso la condanna delle deviazioni dottrinali: si ha, così, un’immagine meno idilliaca della Chiesa delle origini, spesso sottoposta alla bufera esteriore delle persecuzioni, ma attraversata all’interno da divisioni e inquinata da degenerazioni teologiche e morali.
Sui maestri che pervertono la via della verità si abbatte lo sdegno di Giuda che scaglia su di loro una serqua di veri e propri insulti: empi, dissoluti, impuri, ribelli, infami, sobillatori, svergognati, adulatori, superbi, impostori… Pittoresco è, comunque, l’arsenale di immagini del nostro frammento: nubi senza pioggia spazzate via dal vento, alberi infruttuosi e sradicati, onde marine selvagge che recano detriti, astri che stanno per esplodere, uscendo dalle loro orbite. La domanda sorge spontanea: chi sono questi maestri infami, condannati in modo simile anche nella Seconda Lettera di Pietro?
Probabilmente si trattava dell’affiorare della cosiddetta eresia “gnostica” che esaltava la supremazia dell’intelligenza e dissolveva l’aspetto “carnale”, cioè storico dell’Incarnazione del Figlio di Dio, ma che sfociava anche in atteggiamenti morali libertini, dato che questi “intellettuali” si sentivano ormai superiori e svincolati da ogni norma. Si incrinava, così, «la fede santissima» e si innestavano fermenti disgregatori nell’«edificio spirituale» della Chiesa (v. 20). È, questo, un rischio che è sempre in agguato nella storia della cristianità. Il filosofo inglese del Settecento David Hume ricordava che «gli errori della filosofia sono ridicoli, ma quelli della religione sono sempre pericolosi».
Essi, infatti, condizionano e intaccano l’esistenza stessa di una persona o di una società. È per questo che si deve senza sosta sorvegliare la nostra spiritualità, custodire la purezza della fede, verificarla con rigore su quella che san Paolo chiamava «la sana dottrina». Giuda conclude il suo breve messaggio con un’invocazione a quel Dio «che ha il potere di preservarvi da ogni caduta e farvi comparire davanti alla sua gloria senza difetti e colmi di gioia» (v. 24).