RE DEI RE, SIGNORE DEI SIGNORI
Gesù Cristo, beato e unico Sovrano, Re dei re e Signore dei signori, il solo che possiede l’immortalità e abita una luce inaccessibile. (1 Timoteo 6, 15-16)
L’epistolario paolino si chiude con un fascicolo di tre scritti omogenei che dal XVIII secolo vengono denominati “Lettere pastorali” a causa del loro tema dominante e dei loro destinatari Timoteo e Tito, collaboratori dell’Apostolo e pastori di Chiese locali. Queste pagine riflettono un’evoluzione sia nel linguaggio sia nel pensiero di san Paolo, tant’è vero che alcuni studiosi hanno ritenuto di doverle riferire a una mano diversa, forse quella di un discepolo. È, però, possibile che l’avanzare degli anni, il progredire nelle esperienze pastorali, il mutare delle situazioni ecclesiali abbiano impresso una svolta allo stile e alla teologia dell’Apostolo, la cui personalità era costantemente duttile, vivace, creativa.
All’interno di queste Lettere non è raro imbattersi in citazioni di frammenti di inni di lode (quelle che tecnicamente vengono classificate come “dossologie”, ossia “discorsi di gloria”, quindi celebrazioni, lodi, glorificazioni). È il caso del breve testo che abbiamo allegato all’antologia di passi biblici significativi per dottrina e folgoranti per bellezza che stiamo da tempo allestendo. L’originale completo di questo mini-inno incastonato nella Prima Lettera a Timoteo – di cui abbiamo evocato solo il cuore – comprende sette formule di ispirazione biblica ma modellate secondo il linguaggio del culto imperiale greco-romano.
È, questo, un elemento formale importante. Da un lato, mostra quella che si è soliti definire come “inculturazione” della Chiesa delle origini nel suo ambiente, di cui assume termini ed espressioni. Ma d’altro lato, si intuisce anche la radicale trasformazione che viene impressa a questi dati acquisiti: contro ogni pretesa di culto reso ad esseri umani, si ribadisce l’unicità e la trascendenza di chi dev’essere adorato, cioè Dio e Cristo. Non sono gli imperatori, personaggi caduchi, destinati a morire e a piombare nella polvere, a meritare lode, gloria e adorazione, ma l’«unico Sovrano, Re dei re, Signore dei signori», Cristo, Figlio di Dio.
Si erge, quindi, solenne in queste righe l’icona di Cristo re, come fosse il celebre Pantokrator (l’Onnipotente) che incombe nell’abside di tante grandiose basiliche antiche: si pensi solo al Duomo di Monreale o a San Marco di Venezia. La comunità cristiana esprime la sua fede nel canto innico e leva il suo sguardo a contemplare «il solo che possiede l’immortalità e abita in una luce inaccessibile». Un’analoga invocazione è inserita anche in apertura a questa Lettera e rispecchia il tono di una celebrazione liturgica: «Al re dei secoli, incorruttibile, invisibile e unico Dio, onore e gloria nei secoli dei secoli. Amen!» (1,16). San Paolo invita anche il lettore ad associarsi a questo coro che da secoli si leva verso il cielo nell’adorazione e nella contemplazione orante.