SPALLA A SPALLA

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Darò ai popoli un labbro puro perché invochino tutti il nome del Signore e lo servano tutti spalla a spalla. (Sofonia 3,9)

 

         «Giorno d’ira quel giorno, giorno di angoscia e di afflizione, giorno di rovina e di sterminio, giorno di tenebra e di oscurità, giorno di nube e di caligine, giorno di suono del corno e di grido di guerra!» (1,15-16). Ecco, martellato come in una marcia militare, il Dies irae del profeta Sofonia, spunto tematico della celebre sequenza medievale, spesso musicata nei secoli. Sì, le pagine di questo personaggio vissuto poco prima di Geremia, il collega più famoso, nel VII secolo a. C., sono spesso marcate da una tonalità rude e aspra.

         Egli è certo che il giudizio divino dovrà irrompere su tutti i traditori della fede biblica, dignitari corrotti, maghi e idolatri, commercianti avidi e rapaci, gli immorali e i superstiziosi, gli atei pratici che affermano: «Il Signore non fa né bene né male», pensandolo amorale come lo sono loro. Lunga sarebbe la lista delle degenerazioni spirituali, sociali e morali che il profeta denuncia e sferza con sdegno e persino con sarcasmo.

         Ma nei pochi versetti del suo libretto, 53 in tutto, Sofonia – il cui nome è un segno di fiducia perché in ebraico significa “il Signore protegge, conserva” – conosce anche un altro registro ideale, quello della speranza e della salvezza riservata agli ‘anawîm, cioè ai “poveri” del Signore, giusti e fedeli pur nella sofferenza e nell’oppressione. A loro lancia questo messaggio: «Cercate il Signore voi tutti, poveri della terra, che eseguite i suoi ordini, cercate la giustizia, cercate l’umiltà» (2,3).

         Su di loro non passerà la bufera del «giorno dell’ira». Accanto a loro, però, si scoprirà una presenza inattesa. È ciò che occhieggia all’interno del versetto che noi abbiamo estratto dagli oracoli di Sofonia. Entrano, infatti, in scena i «popoli», gli ‘ammîm della terra, sui quali pure irrompeva la tempesta del giudizio divino. Tuttavia, la speranza che il profeta coltiva è che essi alla fine convergano verso Sion, alla ricerca del vero Dio. È una processione di nazioni simile a quella cantata da Isaia: «Al monte del tempio del Signore affluiranno tutte le genti e diranno: Venite, saliamo sul monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe, perché ci insegni le sue vie e possiamo camminare sui suoi sentieri» (2,2-3).

         Il Signore purificherà le loro labbra coperte di nomi di idoli e di falsi dèi perché possano insieme ai fedeli di Israele intonare le loro lodi all’unico Dio, offrendo a lui la disponibilità della loro vita. C’è un’espressione suggestiva nell’originale ebraico: tutti serviranno il Signore shekem ’ehad, letteralmente «con una sola spalla». L’antica traduzione greca della Bibbia detta “dei Settanta” e molte versioni moderne traducono: «serviranno tutti sotto lo stesso giogo». Ma è molto più intensa e suggestiva l’immagine di una folla immensa che «spalla a spalla», con la stessa dignità e senza distinzioni di livelli, adora e canta all’unico Signore di tutti.