«Dio creò l’uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò, maschio e femmina li creò» (Genesi 1, 27). Non c’è dubbio, la legge del parallelismo semitico non lascia scampo: a “immagine di Dio” corrisponde proprio la coppia, la bipolarità sessuale, zakar e neqebah, cioè il maschio e la femmina. Quel Dio biblico rigorosamente asessuato – al contrario delle circostanti mitologie antico-orientali – ha il suo simbolo epifanico non nel solo maschio, come vorrà una successiva esegesi rabbinica echeggiata anche da san Paolo, non nell’anima o nella spiritualità, come vorrà una certa tradizione cristiana platonicheggiante, bensì nella feconda relazione d’amore tra l’uomo e la donna. Il Dio creatore ha il suo svelamento nel parallelo relazionale e procreativo della coppia, tant’è vero che la cosiddetta Tradizione Sacerdotale – che è alla sorgente di questo testo – rappresenterà nel libro della Genesi la storia della salvezza attraverso la sequenza delle generazioni-genealogie.
L’umanità è, dunque, definita nella sua relazione interpersonale che ha nel maschio e nella femmina il suo archetipo. Sulla scia di Emil Brunner, il famoso esegeta tedesco Gerhard von Rad commentava: «Questa grandiosa frase è così lapidariamente semplice che difficilmente ci si può rendere conto che con essa crolla alle nostre spalle tutto un mondo di mito e di speculazione gnostica, di cinismo e di ascetismo, di divinizzazione della sessualità e di angoscia sessuale». In realtà sappiamo come le cose andarono a finire e la stessa Bibbia, che non è un’astratta raccolta di teoremi teologici, ma il rivelarsi di Dio nella storia umana per redimerla, ne è un’attestazione incisiva con le corti poligamiche patriarcali, gli stupri, le umiliazioni, le violenze e le frequenti asserzioni antifemminili.
Proprio per non cadere nell’equivoco fondamentalistico, che non sa discernere tra l’incarnazione storica travagliata e il messaggio sotteso, sono sempre utili le guide ermeneutiche attorno al tema della sessualità, dell’eros, dell’amore, riscoperto nelle Sacre Scritture. È ciò che fa Andrea Milano, che insegna storia del cristianesimo alla Federico II di Napoli, con un suo bel saggio che – dopo le opportune premesse metodologiche (sappiamo quanto sia complessa la questione della “differenza” sessuale, soppiantata spesso dalla categoria molto problematica di gender) – parte proprio dal passo della Genesi sopra citato per avviarsi su un sentiero d’altura. Il suo è lo sforzo di illustrare in particolare il filo d’oro positivo che percorre le Scritture, con la svolta profetica che imprime al concetto di “alleanza” con Dio, tipica della teologia di Israele, una qualità del tutto nuova mediante la simbologia nuziale. E poi c’è il “contrappunto sublime” del Cantico dei cantici che ci trasferisce verso la concezione della donna secondo Gesù, a sua madre Maria, all’ambivalenza del femminile celebrata dall’Apocalisse con l’antitesi Prostituta-Sposa, per non parlare di san Paolo che, in verità, si rivela piuttosto diverso rispetto allo stereotipo antifemminista che gli è stato cucito addosso.
Si tratta di una ricerca suggestiva che si confronta con le asperità testuali e che aiuta a superare i fraintendimenti fioriti quando la teologia cristiana si è coniugata col platonismo infrangendo l’armonia che si era lentamente intessuta tra eros e agape, armonia evocata anche da Benedetto XVI nella sua enciclica Deus caritas est. Ma qui il discorso dovrebbe allargarsi alla storia della tradizione, come per altro abbiamo già avuto occasione di suggerire attraverso un nostro precedente intervento a proposito del libro Due in una carne di Margherita Pelaja e Lucetta Scaraffia (Laterza 2008). Per stare, però, sul terreno biblico, potremmo consigliare una galleria di ritratti femminili delle Scritture, messa all’insegna del curioso motto rabbinico Torah orah, la Torah “incinta”, ossia la Legge e la Rivelazione biblica declinata al femminile. Con le immancabili Eva e Sara, ecco le matriarche Rebecca, Rachele e Lia, la Tamar stuprata e la ninfomane moglie di Potifar, la Raab di Gerico, prostituta santificata, ma anche le guerriere Debora, Giaele e Giuditta e così via in oltre venti dipinti testuali, destinati ovviamente a passare ancora per la “Lei” del Cantico e ad approdare alla Maria madre di Gesù. Una sequenza di volti tratteggiati sempre con lievità e intelligenza e alla fine commentati sinteticamente dalla voce sempre fine di Sylvie Germain e dagli acquerelli di Marte Sonnet che, però, si spengono perché privi di colore.
Più di una volta abbiamo fatto cenno a quell’archetipo femminile per eccellenza che è Maria di Nazaret. Tutto quello che è necessario sapere di lei, nella sua autenticità documentaria biblica, senza inciampare nell’effervescenza devozionale o nella fantasia pirotecnica degli scritti apocrifi, ce lo offre uno specialista in questo ambito, Alberto Valentini, docente alla Gregoriana e al Marianum di Roma. Il suo è un viaggio anche a ritroso, alla ricerca delle fondazioni anticotestamentarie di molti lineamenti del volto cristiano della Vergine Madre, e un itinerario prospettico sino al “grande segno” della donna incinta dell’Apocalisse, per entrare poi nella selva fitta della mariologia, una branca dalla teologia più significativa di quanto s’immagini, considerati i suoi nessi con la cristologia e l’ecclesiologia. Il Concilio Vaticano II non aveva esitato, in uno dei suoi documenti, la Lumen gentium, ad affermare che «Maria, per la sua intima partecipazione alla storia della salvezza, riunisce per così dire e riverbera i massimi dati della fede» (n. 65).
Andrea Milano, «Donna e amore nella Bibbia», Dehoniane, Bologna, pagg. 388.
André Wénin – Camille Focant, «La donna, la vita», postfazione di Sylvie Germain, Dehoniane, Bologna, pagg. 157.
Alberto Valentini, «Maria secondo le Scritture», Dehoniane, Bologna, pagg. 500.