Che la storia sia magistra vitae ce lo insegnavano a scuola senza dirci che la formula era desunta da un passo più suggestivo e articolato del De oratore (II, 9, 36) di Cicerone: Historia testis temporum, lux veritatis, vita memoriae, magistra vitae, nuntia vetustatis, «la storia è testimone delle età, luce della verità, vita del ricordo, maestra di vita, messaggera del passato». Questo ottimismo, condiviso da altri storici classici come Tucidide o Polibio, è smitizzato nei nostri giorni, spesso “smemorati” del proprio passato o, come si è soliti dire, delle comuni radici, e così in Satura (1971) Montale ironizzava: «La storia non è magistra / di niente che ci riguardi. / Accorgersene non serve / a farla più vera e più giusta».

            Qualcosa del genere è accaduto anche per la storia della Chiesa: il dibattito sulle “radici cristiane” dell’Europa, tra le altre e varie componenti che evoca, comprende anche l’insensata cancellazione dell’incidenza della Chiesa nella nostra vicenda secolare, nel bene e nel male. Sì, perché esistono anche “temi scottanti” che la storia della cristianità trascina con sé. Ebbene, August Franzen (1912-1972), docente di questa disciplina nell’università tedesca di Friburgo in Brisgovia, quando nel 1965 pubblicò la sua Kleine Kirchengeschichte non esitò nella prefazione a scrivere che «non devono esistere tabù nella storia della Chiesa. Perciò, i cosiddetti “temi scottanti” non devono mai essere evitati, ma trattati piuttosto con cura tutta particolare. Ovviamente essi sono tanto complessi che non possono essere pienamente compresi senza uno studio più approfondito del contesto storico contemporaneo in cui ebbero vita».

            Detto in altri termini, la “verità storica”, per quanto può essere ricostruita a livello storiografico, dev’essere perseguita con rigore, senza prevenzioni o tentazioni apologetiche. Ed è ciò che risulta dalla Breve storia della Chiesa di questo autore tedesco divenuto famoso proprio per questa sua opera, al punto tale che, quando anni fa in una libreria di Monaco richiesi al commesso il volume, costui mi replicò prima ancora che finissi il titolo con uno spontaneo: «Ah, der Franzen!». Ora, “il Franzen” per eccellenza – lo studioso aveva, infatti, composto anche altre opere tra le quali una Storia dei papi, tradotta in italiano sempre dalla Queriniana – ha alle spalle un successo clamoroso: infatti, nel 2006 è uscita la ventiquattresima edizione tedesca, riveduta e ampliata da Roland Fröhlich, il quale naturalmente ha dovuto aggiungere un capitolo dedicato alla “Storia della Chiesa contemporanea”, cioè dalla fine del Concilio Vaticano II (1965) agli esordi del pontificato di Benedetto XVI.

            Ecco, ora, anche in italiano, quest’opera nella sua nuova redazione (nella precedente traduzione aveva già totalizzato ben nove edizioni), con l’aggiunta di tre significativi indici analitici e di vari prospetti sinottici. L’impostazione segue i canoni classici della sequenza diacronica e quindi il testo si configura a trittico, procedendo dall’antichità – che ha in Gesù di Nazaret il suo fondamento storico (interessante è anche il capitoletto riservato alla “storicità della fondazione della Chiesa”) – verso il Medioevo che costituisce la seconda tappa, prima di entrare in quell’età moderna, che dal 1500 ci conduce ai nostri giorni. Certo, il problema della periodizzazione del processo storico pone non pochi problemi e Franzen ne è consapevole.

            Così, quando deve delineare il transito dal Medioevo all’epoca moderna, segnala tutti gli intoppi a cui si va incontro. «Molti sono, infatti, gli eventi che rivelano la presenza degli inizi dell’età nuova, ma nessuno di questi indici è tuttavia tanto caratteristico e decisivo da poter abbracciare in modo proprio e sufficiente il nuovo periodo nella sua interezza… Se, per esempio, si sceglie come punto di partenza l’apparire della religiosità individuale “moderna”, ci si dovrà riportare al XIV secolo. Se si prende invece a misura la struttura della società, allora potremo parlare di una vera svolta storica solo al tempo della rivoluzione francese, poiché solo questa ha effettivamente abolito l’ordine feudale della Chiesa medievale» (pag. 273).

            Nonostante questa (e altre) impasse, la trattazione di Franzen è costantemente motivata ed equilibrata. Il suo è un approccio ai dati e ai documenti condotto secondo i percorsi codificati della storiografia, anche se con una straordinaria capacità di sintesi e di panoramica che impedisce la frammentazione meramente fenomenologica, non rara in altri manuali. È vero che ora si è inclini ad allegare anche il contributo di varie discipline collaterali, le cosiddette “scienze umane”, che propongono nuovi angoli di visuale di taglio ora sociologico, oppure economico, o antropologico-culturale, di storia dell’arte e, considerato il soggetto, di teologia. Tuttavia, “il Franzen” rimane un prezioso vademecum per chi vuole rincorrere il filo vitale che ci ha condotti fino ad oggi, nella consapevolezza che, se pure non sarà magistra vitae, la storia per la fede ebraico-cristiana è sede anche di teofania ed è retta da un’escatologia, mentre per il “laico” è lo scenario degli splendori e delle miserie umane. Lo scettico Montale continuava riconoscendo che «la storia è anche benevola: distrugge / quanto più può», eliminando non poche scorie. Tuttavia «la storia gratta il fondo / come una rete a strascico / con qualche strappo e più di un pesce sfugge».

                                                                                         

August  Franzen,  «Breve storia della Chiesa»,  nuova edizione a cura di Bruno Steiner e ampliata da Roland Fröhlich, edizione italiana a cura di Gianni Francesconi, Queriniana, Brescia, pagg. 541.