Nella sua Rivoluzione sessuale (1936), Wilhelm Reich era convinto che «l’ideologia sessuale fosse la più profondamente ancorata di tutte le ideologie conservatrici». Effettivamente, bisogna riconoscere un certo fissismo attorno a questa realtà capitale, anche negli stereotipi che l’accompagnano, come quello che intreccia Chiesa e oppressione sessuale. A volerci vedere più chiaro, in modo non “patetico” ma documentario, si sono messe due studiose, entrambe di professione storiche, ma ideologicamente collocate su versanti antitetici, “laico” per Margherita Pelaja, cattolico per Lucetta Scaraffia. Si ha così, un curioso concerto a quattro mani che, pur nell’armonia metodologica, rivela evidenti contrappunti e dissonanze. Il risultato, però, è decisamente importante e suggestivo e la diacronia della ricerca e delle stesse voci non impedisce esiti sintetici.
Disegnare la mappa dell’itinerario storiografico proposto dal volume è, a prima vista, agevole, perché al primo movimento che ricostruisce la fase germinale della concezione cristiana della sessualità subentra una seconda tappa che scandisce la norma teorica, etica nonché giuridica entro cui si cerca di imbrigliare la sterminata complessità delle tipologie dell’esercizio sessuale, fino all’approdo all’attuale secolarizzazione che, a partire dall’ultimo scorcio del Settecento, scandisce la “fine del monopolio” della Chiesa e l’ingresso in scena di una società autonoma, sganciata dall’eteronomia ecclesiale e segnata da «un’autocomprensione in contrapposizione con la religione su tutti i temi della vita umana, quindi anche sul comportamento sessuale».
Molto interessante è indubbiamente la prima fase, quella nella quale il cristianesimo fa la sua comparsa calando una serie di carte vincenti: l’Incarnazione, prima fra tutte, che trascina con sé l’esaltazione del corpo contro ogni riserva spiritualistica greca; il matrimonio che introduce una prima parità (nel c. 7 della Prima Lettera ai Corinzi san Paolo propone una significativa trattazione duplice, sia per il marito sia per la moglie); il superamento del tabù sacrale dell’impurità rituale con l’opzione per una santità etico-esistenziale; la sorprendente innovazione del celibato/verginità non come statuto anagrafico, ma come ministero ecclesiale e sociale; la relativizzazione che si allunga come un’ombra a partire dall’escatologia e che impedisce assolutizzazioni, ma soprattutto la nuova categoria agápe, ben diversa dall’eros greco.
Alle spalle di tutto questo ci sono, certo, premesse che affondano le loro radici nello stesso passato ebraico: si pensi a quel gioiello poetico che è il Cantico dei cantici o alla simbolica nuziale adottata dai profeti in chiave teologica. Ma c’è anche un futuro molto variegato e tormentato. Si pensi alla rilettura allegorica dello stesso Cantico, che ne dissolve la base sessuale facendola evaporare in arabeschi teologici e spirituali. C’è Maria vergine e madre (che in realtà è un emblema cristologico e non frutto di sessuofobia, come spesso si equivoca); c’è la Maddalena, erroneamente trasformata in prostituta (dato non evangelico, ma frutto solo di deduzione), ma anche trasfigurata gnosticamente in Sophía divina. Accanto allo spiritualismo più etereo si registrano, però, corpose assegnazioni dell’eros alla mistica (si leggano Teresa d’Avila o Giovanni della Croce); non si esita a proporre in sede iconografica un’ostentatio genitalium di Gesù, viatico per una professione di fede nell’Incarnazione di Cristo, fino a precipitare nelle sguaiatezze del risus paschalis che rasentava l’osceno, per celebrare la gioia della risurrezione pasquale.
Tutto questo e altro ci è offerto in modo vivace e attento dalla Scaraffia. A questo punto è la Pelaja che ci introduce nella foresta normativa che, a partire dai “penitenziali” medievali, s’avvia verso la trattatistica morale e il Concilio Tridentino. Si intrecciano ormai sacramento e diritto, la classificazione casistica s’affanna a elaborare tipologie che aspirano a un impossibile “disciplinamento” di una materia di sua natura incandescente, a una “politica della sessualità”, soprattutto coniugale. Si riconosce, però, che l’accento posto sulle intenzioni e sui desideri più che sugli atti in sé «rende i testi della casistica strumenti di costruzione di una nuova morale: un sistema normativo della coscienza in cui il singolo è al centro di valutazioni e negoziazioni che declinano di volta in volta l’applicabilità della legge universale del bene e del male».
Ma ormai bussa alla porta la modernità che spariglia tutte le carte di questo castello capace di equilibrare controllo e tolleranza, intransigenza e flessibilità, repressione e perdono (si pensi al “confessionale”). Ecco, così, la sessualità sottratta ai moralisti e assegnata ai medici, ai biologi, agli psicanalisti, ai sociologi; ecco appunto Freud e Reich, Ellis e Key, Marcuse e il Rapporto Kinsey, il femminismo e la rivoluzione sessuale e l’infinita gamma di rilevazioni sulla sessualità da prospettive differenti, che vedono la Chiesa alle prese con squarci e lacerazioni del tessuto antropologico elaborato per secoli. L’Humanae vitae di Paolo VI viene assunta come simbolo di una nuova impostazione ecclesiale e pastorale, sviluppata soprattutto nel successivo pontificato di Giovanni Paolo II. Ed è attorno a questo nodo (e ai suoi corollari) che si allargano le distanze tra le due autrici.
Esse – lo diciamo con qualche semplificazione – evocano e forse incarnano due modelli nei cui confronti si deve compiere una scelta seria (purtroppo la superficialità e l’indifferentismo amorale dominante non ne percepiscono il rilievo). Il conflitto, infatti, non è tra una banale alternativa fra emancipazione e oscurantismo, bensì tra una visione “laica” che colloca l’atto sessuale nella sfera esclusiva della libertà individuale e la concezione cattolica «che lo giudica e lo definisce come momento importante del percorso spirituale di ogni credente, un incontro tra anima e corpo che non si può sottrarre al rispetto delle regole religiose. L’una basata su un’analisi scientifica della sessualità e dell’autonomia del soggetto intesa come valore dominante, l’altra fondata sulla costituzione dell’individuo come soggetto morale in un sistema di norme definite».
Margherita Pelaja – Lucetta Scaraffia, «Due in una carne. Chiesa e sessualità nella storia», Laterza, Roma-Bari, pagg. 322.