UNA VECCHIAIA BIFRONTE

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«Vecchi e vecchie si siederanno nelle piazze di Gerusalemme, ognuno col bastone in mano per la loro longevità. Le piazze della città formicoleranno di ragazzi e ragazze che giocheranno in quelle piazze». A scattare questa istantanea idilliaca è, attorno al 520 a.C., un profeta biblico, Zaccaria (8,4-5), mentre era il Salmista a osservare nel tempio di Sion, «giovani e ragazze, vecchi e bambini che lodano insieme il Signore» (148,12). Proprio oggi si celebra la giornata mondiale, istituita da papa Francesco, dedicata ai nonni che, pur essendo stati duramente colpiti dalla pandemia, rimangono sempre una colonna di molte famiglie, reiterando le due scene appena descritte, sia accudendo i nipotini, sia insegnando loro i rudimenti della fede.

         La Bibbia trabocca di anziani, come dimostra il teologo Marco Mani, partendo da Abramo e Sara, giungendo, attraverso una galleria di ritratti, fino ai «presbiteri» neotestamentari, il cui termine greco però è ormai assegnato più generalmente per connotare una dignità ecclesiale. Il tutto viene posto dall’autore sotto l’insegna autobiografica di un vecchio Salmista, convinto che «pur nella vecchiaia, darà ancora frutti» (92,15). Lasciamo nelle mani dei lettori questo libro limpido e lineare di immagini e di riflessioni approntate dal «presbitero» Mani, classe 1953, e allestiamo a nostra volta una mini-sequenza di volti rugosi che s’affacciano nelle pagine bibliche. Bisogna subito dire che, pur trovandoci in una società patriarcale che assegna un primato d’onore all’anziano, in esse non manca il realismo di presenze tenebrose come quelle dei due vecchi viziosi che tentano invano di violentare la bella sposa Susanna e che sono smascherati dal giovane Daniele nel c. 13 dell’omonimo libro, in una sorta di giallo giudiziario. Un sapiente del II sec. a.C., il Siracide, non esitava a denunciare «il vecchio adultero e privo di senno… che si consiglia con prostitute» (25,2; 42,8). C’è, però, un altro profilo oscuro legato non alla morale ma alla fragilità psico-fisica dell’età. Ed è proprio un altro sapiente biblico anziano, Qohelet/Ecclesiaste, a marcarlo impietosamente nella mirabile e amara pagina finale del suo scritto (c. 12).

         Avvolgendo il film della vita, egli vede scorrere via velocemente la giovinezza e la «nerezza dei capelli», mentre s’allungano i fotogrammi degli anni ultimi in cui, alzandosi all’alba, egli confessava nauseato: «Non ne ho voglia!». E subito succedevano le scene di un disfacimento attraverso una cupa carrellata di immagini meteorologiche (inverno, piogge) e naturali (vertigini, canizie come il fiore di mandorlo, artrite sbeffeggiata dalla saltellante cavalletta, impotenza sessuale vanamente contrastata dal cappero, il «viagra» di allora).

         Ma in quel testo è soprattutto la ripresa quasi filmica di un palazzo aristocratico in sfacelo a trasformarsi in parabola della decadenza senile: guardiani al portone, donne alla macina, signore occhieggianti dalle inferriate dell’harem, i trilli degli uccelli, le canzoni si trasformano in simboli di braccia, gambe, denti, occhi, orecchi sui quali si stende il velo tetro della decrepitezza. Bisogna, però, subito aggiungere che a dominare nella Bibbia è il volto luminoso dell’anziano, maestro di fede e sapienza, simile – come affermava il Salmista citato – a «palma fiorita, a cedro del Libano cresciuto, piantati nella casa del Signore» (92,13-14).

         Ricorriamo solo a un paio di esempi. Il primo è anticotestamentario: Tobi, la cui statura morale è una lezione di vita per il figlio Tobia, nell’omonimo delizioso libro per famiglie. La sua vicenda è racchiusa in questi due estremi del racconto: «Io Tobi, ho camminato per le vie della verità, ho compiuto opere buone tutti i giorni della mia vita, ho fatto molte elemosine ai miei fratelli» (1,3). «Tobi morì in pace all’età di 112 anni: era vissuto facendo elemosine e continuando a benedire ed esaltare la grandezza di Dio» (14,1-2). È l’ideale epigrafe che ogni anziano dovrebbe desiderare a suggello della sua esistenza.

         L’altro ritratto esemplare è neotestamentario ed è duplice, offerto dal Vangelo di Luca che pone sulla ribalta due anziani, Simeone e Anna, presenti nel tempio di Gerusalemme quando vi accede la coppia povera di Maria e Giuseppe col piccolo Gesù. I loro occhi appannati sanno, però, penetrare la misteriosa realtà di quel bambino affidato alle loro braccia: «I miei occhi hanno contemplato il Salvatore», esclama Simeone, scoprendo in quella creatura colui che «è posto per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione» (Luca 2,30.34). E con lui la vedova Anna, 84 anni, «rende grazie a Dio e parla del bambino Gesù a tutti quelli che aspettano la liberazione di Israele» (2,38).

         Abbiamo iniziato evocando papa Francesco, ora ottantaquattrenne, concludiamo con un altro pontefice, Giovanni XXIII, che nella memoria collettiva incarna la figura dolce e tenera dell’anziano e del nonno spirituale (morì nel 1963 a 82 anni): di lui tutti ricordano l’invito alla «carezza ai bambini» nel famoso discorso pronunciato la sera del giorno di apertura del Concilio Vaticano II, l’11 ottobre 1962. Ecco un suo consiglio bonario ma realistico: «Dite ai giovani che il mondo esisteva già prima di loro, e ricordate ai vecchi che il mondo esisterà anche dopo di loro… Voi giovani dite sui vecchi le stesse cose che noi dicevamo da ragazzi. Un giorno altri ragazzi diranno lo stesso di voi».

GIANFRANCO RAVASI

Marco Mani, Nella vecchiaia daranno ancora frutti, Marcianum Press, Venezia, pagg. 138, € 13,00.