Ho davanti a me la Johannine Bibliography 1966-1985 di Gilbert van Belle, pubblicata nel 1988 dalle Edizioni dell’università belga di Lovanio: si tratta di qualcosa come 563 pagine a stampa fittissima e minuta, e tutto questo per la “cumulative bibliography” di meno di un ventennio. Da allora lo scroscio librario sul quarto Vangelo è proseguito ininterrotto e non solo coi saggi più specialistici e settoriali, ma anche coi commentari integrali, impresa che non fa tremare le vene e i polsi a vari esegeti, i quali continuano a pubblicare commenti giovannei, nonostante l’esistenza di veri e propri monumenti come i tre volumi di Rudolf Schnackenburg – che Benedetto XVI nel suo Gesù di Nazaret non ha esitato a definire «il più importante esegeta cattolico di lingua tedesca della seconda metà del XX secolo» (l’autore è morto nel 2002 a 88 anni) – , volumi tradotti in italiano dalla Paideia di Brescia, o come l’opera dell’americano Raymond E. Brown, morto nel 1998, la cui analisi esegetica è stata offerta in versione italiana presso la Cittadella di Assisi.
Ecco, dunque, ora un nuovo tentativo di perlustrare le 15.416 parole greche di cui si compone il Vangelo di Giovanni (terzo tra gli evangelisti, dopo Luca e Matteo, per estensione) da parte di un esegeta australiano, il salesiano Francis J. Moloney che è titolare di una cattedra di “religious studies” presso la Catholic University of America. Il taglio adottato, pur ricorrendo a tutto l’arsenale storico-critico dell’esegesi moderna, è piuttosto innovativo: si affida, infatti, all’approccio narratologico con la finalità di decifrare «il modo in cui l’autore ha narrato la storia di Gesù fino a portare i suoi lettori al punto di prendere una decisione». È questa, infatti, la finalità dichiarata esplicitamente nella prima delle due conclusioni del Vangelo stesso (segno della diversità di redazioni a cui l’opera giovannea fu sottoposta): il libro è stato scritto «perché crediate [meglio ancora: perché continuiate a credere] che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché credendo abbiate la vita nel suo nome» (20,31).
Proprio perché è un racconto coerente, è indispensabile evitare ogni forma di “anatomia” testuale (Anatomy of the Fourth Gospel era il titolo significativo di un pur imprescindibile saggio pubblicato nel 1983 da R. A. Culpepper), mentre è necessario tener ben stretto il filo narrativo dell’opera giovannea che ha le sue tappe di sviluppo nel dittico dei libri “dei segni” (i sette miracoli selezionati dall’evangelista nei cc. 1-12) e “della gloria” (gli eventi finali, presenti nei cc. 13-20). Questa analisi suppone l’identificazione del lettore destinatario originario a cui l’autore si rivolgeva, ma anche del lettore reale che in qualsiasi tempo o luogo prende in mano il Vangelo (è la nota distinzione della narratologia tra il “lettore nel testo” e il “lettore del testo”). L’esegesi di Moloney, che si basa su un’ “interpretazione” più che su un vaglio storico-critico (affidato solo ad alcune “note”), punta a far emergere questi due “lettori” e a spingerli verso una coincidenza di intenti e di esiti.
Collocato sullo scorcio del I secolo, consapevole di avere alle spalle già una certa letteratura su Gesù, il quarto evangelista propone una forte cristologia la quale però non invita a decollare dalla realtà storica (gli studiosi sono ora molto più interessati di quanto lo fossero in passato ai molteplici dati storiografici sottesi alla pur forte operazione ermeneutica proposta da Giovanni) per attestarsi solo nel cielo della teologia. L’autore, infatti, si muove sul crinale culturale dal quale spiovono sia il mondo greco sia l’ebraico e, riesaminando la vicenda e il messaggio di Gesù di Nazaret, «li presenta in modo da renderli comprensibili al turbine religioso e culturale dell’Asia minore alla fine del primo secolo». In un certo senso, potremmo dire che siamo di fronte a un processo di inculturazione del messaggio cristiano parallelo a quello operato da san Paolo sia pure secondo traiettorie proprie. È in questa luce che si devono esaminare e ponderare anche certe categorie di impronta simbolica, come la contestatissima presenza negativa dei “Giudei”, figura troppo sbrigativamente e semplicisticamente letta come se fosse nata da rigurgiti antisemiti.
In contemporanea al commentario di Moloney appare quello di un altro cattolico, questa volta americano, Gerard Sloyan, già docente presso la stessa Catholic University of America, tradotto però in italiano dall’editrice protestante Claudiana di Torino, vivacissima presenza culturale valdese nell’orizzonte degli editori di libri teologici. In realtà quest’opera è apparsa in inglese vent’anni fa per i tipi della John Knox Press, un’editrice che reca il nome del famoso riformatore cinquecentesco della Chiesa di Scozia. Pur seguendo passo passo la trama del Vangelo, Sloyan ne privilegia gli spunti applicativi, spesso con molta originalità e intensità (si legga, ad esempio, il commento compatto ai cc. 2-4 di Giovanni sotto il titolo “Un matrimonio, un visitatore notturno, una conversazione a mezzogiorno”). Egli si premura di esaltare l’aspetto ecumenico della celebre preghiera di Gesù presente nel c. 17; davanti a Lazzaro risorto convoca anche Chesterton che, nella sua poesia autobiografica Il Convertito, coglie il senso profondo di quel “segno”: Gesù è venuto a donare una qualità ulteriore rispetto all’essere vivi nel corpo e, perciò, bisogna evitare di «scuotere la ragione attraverso un setaccio che trattiene la sabbia e fa cadere via l’oro». E così avanti, secondo una lettura che intreccia i dati esegetici su un ordito di attualizzazione, di adesione, di condivisione, non di rado sorreggendosi alla voce di figure inattese come Nietzsche o Freud, Hopkins, Thompson e persino Bellow, nella consapevolezza della forza “performativa” delle pagine giovannee.
Francis Moloney, «Il Vangelo di Giovanni», traduzione di Giovanni Vischioni, Elledici, Leumann (Torino), pagg. XX-519.
Gerard Sloyan, «Giovanni», traduzione di Franco Ronchi, Claudiana, Torino, pagg. 320.