I Cristiani alla luce dell’alba

Lo scorso maggio sono stato invitato dall’antica e prestigiosa università inglese di Durham per una serie di incontri e conferenze e per l’inaugurazione della restaurata biblioteca di Ushaw. Ho potuto, così – attraverso un’ospitalità quasi rinascimentale (mi era stata assegnata la Bishop Suite che apparteneva al vescovo principe della cittadina e gran cancelliere dell’università) – ammirare la monumentale e mirabile cattedrale, con la tomba del Venerabile Beda, il famoso dottore della Chiesa del VII-VIII secolo, e visitare gli spazi sontuosi dell’università che, pur essendo di matrice anglicana, annovera pure una facoltà di teologia cattolica. In quell’occasione uno dei miei desideri era di incontrare uno dei maggiori studiosi del Nuovo Testamento, James D. G. Dunn, docente emerito di Durham. Purtroppo, però, appresi che si era ormai trasferito a Chichester, sulla costa meridionale dell’Inghilterra, per ragioni di salute e familiari.

Ora, però, lo incontro nelle pagine di un suo studio che completa un’imponente trilogia che la sempre coraggiosa e raffinata editrice Paideia (ora unita alla Claudiana) ha voluto offrire anche al pubblico italiano. La grandiosa architettura del suo affresco degli Albori del cristianesimo (titolo più suggestivo del secco inglese Christianity in the Making) si allarga ora all’ultima fase che ha come svolta radicale il 70 d.C. con la distruzione di Gerusalemme ad opera delle legioni imperiali di Tito. Si ha, così, anche il transito alla seconda generazione cristiana con l’affermarsi più netta di un’identità del cristianesimo che, per usare il sottotitolo paolino dell’opera, non è «né giudeo né greco», pur attingendo a quel duplice orizzonte. Il percorso delineato da Dunn è molto ramificato, distribuito in questa sezione (la versione italiana comprenderà due tomi dell’unico originario) in una minuziosa ricostruzione in paragrafi.

Il procedimento è lineare: dopo un disegno panoramico che descrive l’interlocuzione coi due mondi, il giudaico e l’ellenistico, l’obbiettivo punta sul cristianesimo in gestazione. È, dunque, necessario partire dalle fonti che sono in primis i Vangeli, composti dopo quella data fatidica (compreso Marco, il più antico, che però ammette una forbice tra il 65 e il 75). Naturalmente ad essi si associa la sequenza degli altri scritti neotestamentari, esclusa ovviamente un’antecedente porzione dell’epistolario paolino, quella considerata dagli esegeti di genesi certa dell’Apostolo. Affacciandosi sul II secolo, la cristianità registra però nuovi autori, vescovi, teologi, apologisti, così come le prime deviazioni dall’asse teorico e pastorale della Grande Chiesa, mentre si espande la foresta letteraria degli apocrifi i cui generi rispecchiano quelli del Canone primordiale, cioè i Vangeli, gli Atti degli Apostoli, le Apocalissi.

La ricerca più raffinata e più delicata è quella che Dunn conduce tentando di ricomporre il filo della «memoria interrotta di Gesù», cioè il trapasso non certo meccanico o «verbalistico» tra la tradizione orale iniziale e la canalizzazione negli scritti evangelici di Marco, Matteo e Luca. Uno spazio a sé stante viene riservato al più tardo Vangelo di Giovanni e a quello apocrifo di Tommaso che gode di un’attenzione particolare da parte degli esegeti perché la sua cristologia è vicina a quella giovannea, mentre forma e materiali sono in connessione coi Sinottici, cioè con gli altri tre Vangeli. La tradizione orale, talvolta in modo carsico, altre volte con emersioni sorprendenti, si rivela anche nei primi scrittori cristiani del II secolo come Clemente di Roma, Ignazio di Antiochia, Policarpo di Smirne, gli apologisti già citati e una serie di altri documenti interessanti, come la Didachè, il Pastore di Erma o gli agrapha, cioè i detti di Gesù sconosciuti ai Vangeli.

Non sembri che lo schema che abbiamo tracciato sia uno scheletro didattico: Dunn, con la sua competenza e la finezza interpretativa, supera l’aridità della documentazione pur necessaria, svelando quanto sia stato vivace, creativo e dinamico il «farsi» (making) del cristianesimo, una religione capace di imporsi sulle secolari tradizioni giudaiche e classiche. È ciò che san Paolo esprimeva in modo radicale: «Se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco ne sono nate di nuove» (2Corinzi 5,17). L’opera di Dunn, come i suoi vari saggi precedenti (compresa la fondamentale Teologia dell’apostolo Paolo), dimostrano anche quanto sia accurata la verifica critica condotta dall’esegesi contemporanea, con buona pace di molti orecchianti convinti di poter asseverare in modo assiomatico sulla Bibbia, dopo aver al massimo letto un’introduzione sbrigativa e senza aver affrontato mai in modo rigoroso e critico i testi fondanti.

Questo non vuol dire che siano nocivi o inutili i manuali introduttori di taglio divulgativo-didascalico. Ne indichiamo ora due tra i più recenti (solo quest’anno ne abbiamo contati una decina!). Del primo qualche teologo potrà dire che è il minimo sindacale per conoscere i 27 libri che compongono il Nuovo Testamento. Si tratta, infatti, di un centinaio di pagine che pretendono di delineare l’intero corpus letterario neotestamentario (138.020 parole greche), le relative coordinate storico-geografiche, ben sei temi teologici nodali come la categoria «Regno di Dio» o la cristologia, l’ecclesiologia o la morale cristiana, aggiungendo una puntata nel campo dell’ermeneutica e dell’esegesi, una curiosa incursione nella filigrana evangelica che s’intravede nella cultura occidentale e persino un glossario finale di 37 voci con un’appendice bibliografica. Con eccesso di zelo nella quarta di copertina l’editore annunciava persino tre carte geografiche e una cronologia che, almeno nella nostra copia, sono state dimenticate.

Si deve, invece, riconoscere che l’autore, Ludovic Nobel, un docente dell’università di Friburgo, abituato a ben altra produzione storico-critica, riesce a creare una guida seria e godibile per lettori frettolosi ma non banali, confermando la teoria secondo la quale bisogna sapere tante cose per poterne dire poche e bene, e selezionare le necessarie tra quelle poche che non obbligatoriamente sono solo le scontate: si veda, ad esempio, la spiegazione del Sondergut, che non è un oggetto misterioso ma un termine tecnico tedesco usato dagli studiosi per spiegare un fenomeno evangelico rilevante, cioè quanto è esclusivo di ogni evangelista rispetto agli altri.

L’altro sussidio – con un titolo un po’ anodino, La vita nel suo nome (anche se è un ricalco giovanneo) – si sviluppa in modo più ampio, ammiccando a un pubblico che esige una strumentazione introduttoria più articolata. Anche in questo caso all’opera è un esegeta di lungo corso e di qualità, Antonio Pitta, noto studioso di san Paolo, a cui è associato un collaboratore, Francesco Filannino. Significativo è il sottotitolo: «Tradizioni e redazioni dei Vangeli». Il movimento è, quindi, duplice. Si parte dall’antefatto, cioè il protagonista Gesù di Nazaret dal quale si dirama appunto la «tradizione», una trasmissione che è oggetto di complesse analisi qui felicemente ricostruite anche con la più recente strumentazione indagatoria. A questo punto ecco il delta finale di quel fiume primigenio, con una raffinata eppur essenziale analisi dei quattro rami evangelici. Il tutto illuminato dal sole della fede cristologica.

GIANFRANCO RAVASI

James D.G. Dunn, Gli albori del cristianesimo. 3. Né giudeo né greco. 1 Nuovo inizio, Paideia-Claudiana, Brescia, pagg. 494, € 58,00.

Ludovic Nobel, Introduzione al Nuovo Testamento, Dehoniane, Bologna, pagg. 116, € 15,00.

Antonio Pitta – Francesco Filannino, La vita nel suo nome, Tradizioni e redazioni dei Vangeli, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), pagg. 299, € 38,00.

Pubblicato su IlSole24Ore, anno 155, n. 33, 3 febbraio 2019.