Era l’estate di un anno fa e non era ancora ufficiale il mio trasferimento in Vaticano. Trascorrevo, quindi, i miei ultimi giorni milanesi negli spazi solenni e ovattati della Biblioteca Ambrosiana. Dalla Sicilia mi era giunto un invito, quello di stendere la premessa a una riproduzione anastatica di un sontuoso testo dell’Ottocento, dedicato a quella straordinaria esegesi biblica musiva che ammanta le pareti del Duomo di Monreale. Doveva essere un omaggio all’arcivescovo di quella città siciliana, mons. Cataldo Naro, un amico caro e stimato, che era morto all’improvviso un anno prima, proprio nel giorno in cui il maestro Riccardo Muti avrebbe dovuto dirigere un concerto davanti a quelle emozionanti presenze artistiche.
Ero, allora, andato alla ricerca di quell’originale nella Biblioteca Ambrosiana: l’avevo trovato in un palchetto posto sotto le volte di una delle sue aule storiche, la Sala Custodi, e ne ero rimasto affascinato. Due tomi gloriosi di 71 cm x 52, intitolati Il Duomo di Monreale illustrato e riportato in tavole cromolitografiche, custodivano immagini stupende i cui fondi oro brillavano quasi come i mosaici sfavillanti di quella cattedrale. Ad allestire questo prodigio editoriale era stato l’abate benedettino Domenico Benedetto Gravina che vi aveva lavorato per un decennio, elaborando novanta tavole, accompagnate da un raffinato apparato storico-teologico, e avvalendosi di due incisori tedeschi che operavano a Napoli e che per l’occasione erano approdati a Palermo, Konrad Grob e Georg Frauenfelder. Anzi, conquistato dall’impresa, il secondo di questi artisti aveva deciso di impiantare nella capitale siciliana una sua officina litografica per condurre a termine l’impresa, giovandosi di una tipografia della città, quella di Francesco Lao.
Ora è un’altra tipografia, le Edizioni Lussografica che operano da oltre 75 anni, a seguire – in verità in forma meno sontuosa e grandiosa – le orme dell’abate Gravina e dei suoi collaboratori. L’incanto è, certo, minore, ma non cessa di stupire, anche perché è il soggetto stesso ad essere esaltante e ne sono testimoni tutti i visitatori di quel Duomo, anche i più distratti turisti che vengono non solo catturati dalla solennità e dalla magnificenza dell’insieme, ma che sono pure quasi “artigliati” dallo sguardo onnipresente del maestoso e immenso Pantokrator dell’abside. Nessuno di loro riesce a sospettare che, a creare questo capolavoro di bellezza e di fede, siano stati artisti differenti, attrezzati secondo idiomi stilistici diversi, avendo alle spalle origini inaspettate: c’erano, infatti, mosaicisti greci, ma anche maestranze siciliane e italiche e non mancavano presenze arabe, tutti in azione tra il 1180 e il 1190, sotto il governo del re normanno Guglielmo II.
La piccola “bufera” che si abbatté sulla mia estate 2007 mi impedì di preparare quel saggio introduttivo, che fosse anche una testimonianza di affetto per l’amico vescovo monrealese. Ora ho davanti a me l’opera attuata e spero che altri, cultori dell’arte e della bibliofilia, ne possano godere, anche attraverso la prefazione del fratello di quel vescovo e una nota che lo stesso mons. Naro aveva steso sui mosaici della sua cattedrale. In quelle righe riaffiora un altro ricordo che rende ancor più personale questa mia particolare recensione. Agli inizi degli anni ‘90 il Banco di Sicilia aveva voluto riproporre come strenna l’importante e monumentale saggio di Ernst Kitzinger sui mosaici di Monreale. Ebbene, ero stato io – col pittore Bruno Caruso – a presentarlo a Milano e in quell’occasione padre David M. Turoldo, che ormai era quasi giunto all’estuario ultimo della sua vita, su mio invito aveva composto una “lettera” poetica che fungesse da premessa a quel piccolo “paradiso” di immagini sante e umane.
Quei versi sono parzialmente rievocati dal testo di mons. Naro premesso all’attuale volume e possono essere assunti come ideale guida metodologica per contemplare quel capolavoro corale. È un invito a purificare il nostro sguardo spesso sporcato dalle brutture e bruttezze contemporanee, a liberare l’orecchio dalle ortiche delle chiacchiere (per usare l’immagine di un’altra poetessa, Nelly Sachs), a sostare in contemplazione mistica, anche se si è agnostici, perché «l’estasi impone il silenzio» e «grazia è stare in solitudine / a guardare la Miracolosa Leggenda / emergere dalle infinite pietruzze di oro / come da una arena di mare». In verità si dovrebbe sostare in quella cattedrale per ammirare il suo particolare “atlante” di fede e di arte nell’atmosfera più congeniale e pertinente, quella della liturgia cristiana che rende vivo il tempio impedendogli di essere solo un monumento, cioè una conchiglia mirabile ma vuota. Ed era stato un grande pensatore come il tedesco-italiano Romano Guardini a narrare in un suo diario l’emozionante esperienza di un rito pasquale proprio sotto lo sguardo trafiggente di quel Pantokrator e sotto le scene di quella storia sacra, grondante trascendenza e umanità.
Domenico Benedetto Gravina, «Il Duomo di Monreale illustrato e riportato in tavole cromolitografiche». Riproduzione integrale dell’originale del 1869, Edizioni Lussografica, Caltanissetta, pagg. 203.