IL CANZONIERE DI NASIMI

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«Se aperto è l’occhio della ricerca, si può afferrare la manifestazione di Dio nel volto di ogni atomo del mondo». Chi raccoglie questo invito si inoltra nella foresta della fede e respira il vento dello Spirito, scopre Dio in ogni particella dell’essere e soprattutto nella bellezza dei volti, lasciandosi catturare da una rete che scardina anche la sequenza del tempo. Comprendono questo linguaggio un po’ esoterico i lettori che hanno incrociato i testi di poeti mistici orientali come Omar Khayyam, Rumi o Hafez. A costoro uno dei nostri maggiori esperti di letteratura persiana e di pensiero islamico, Carlo Saccone dell’università di Bologna, aggiunge un’altra voce, traducendo per la prima volta in italiano il canzoniere persiano di Nasimi, il cui nome è già un’epifania: nasim evoca la «brezza profumata».

         Tuttavia la sua vicenda, sbocciata nella regione caucasica di Shirvan nel XIV secolo, fu suggellata da un macabro martirio, forse strangolato e poi scuoiato. Ora il suo corpo riposa in una tomba nel quartiere che reca il suo nome, nella città siriana di Aleppo, assurta alle cronache anche recenti non per lo splendore della sua cittadella e dei suoi monumenti, ma per le macerie di una guerra infinita e insensata. Il suo martirio evoca quello del più celebre mistico persiano, al-Hallaj, crocifisso nel 922 a Bagdad, appartenente alla spiritualità dei sufi. Nasimi, invece, era legato all’hurufismo che aveva il suo vessillo nella dottrina mistica del contemporaneo Fazl Allah, anch’egli duramente colpito dall’inquisizione dell’ortodossia sunnita, sia per le sue dottrine misteriche, sia per l’esegesi allegorica del Corano, sia soprattutto per aver estenuato la fiera teologia della trascendenza divina. Su quest’ultima «deviazione» aveva esercitato un influsso la figura di Cristo in cui s’intrecciano umanità e divinità, anche se l’«incarnazione» divina propugnata da Fazl Allah risaliva fino ad Adamo e, quindi, all’intera discendenza umana.

         Nasim raccoglie il filo spirituale rovente del maestro e lo trasforma in poesia, immettendolo nella sinfonia che sale dall’intera creazione, come è attestato dai versi da noi citati in apertura e come è spesso ribadito: «Tutti gli atomi del mondo io vedo ognora bramosi di Te, la punta di un capello non vedo separata dal tuo Amore». La teologia hurufita si ramificava, però, lungo altri sentieri, assegnando alle lettere (huruf) dell’alfabeto arabo un valore numerico, così da costruire architetture simboliche sempre più esoteriche, un po’ come era accaduto nella Kabbalà ebraica. La concezione della storia della salvezza, inoltre, abbandonava la traiettoria lineare escatologica e si avvinghiava in una scansione ternaria ciclica.

         Ma soprattutto, come si diceva, forte era l’attrazione esercitata dalla persona di Cristo così che, quando «si diventa ebbri del Vino purissimo della taverna di Gesù, si è liberi dal vino altrui e da sbornie...». Infatti, «noi siamo il soffio di Gesù e Maria, noi siamo le lettere del Nome supremo divino». La conseguente teologia della bellezza non ci sospende, allora, nei cieli dorati e remoti della trascendenza, ma si rivela nell’essere umano, per cui ogni volto bello è una teofania. L’opera di Nasimi si trasforma, così, in un fremente e intenso canto d’amore che ha nella fraternità umana la sua sorgente. Tutto questo e molto altro è nel canzoniere persiano di Nasimi composto da 170 ghazal, liriche di una dozzina di versi ciascuna, e di altre composizione strofiche, odi e quartine. L’esegesi di Saccone permette di essere trasportati in pienezza in quel mondo di bellezza, di amore, di mistica.

         Se è lecita una nota personale, il mio incontro con questo poeta avvenne in due occasioni suggestive che delineano due altri suoi profili. La prima fu durante un incontro interculturale a Tirana, ove fui conquistato da una rappresentazione sacra dei Bektashi, una confraternita musulmana dalla spiritualità iridescente, complessa ed «eretica», sorta nel XIV secolo. Era uno spettacolo rituale intriso dei testi e dei temi di Nasimi. Differente fu, invece, il secondo accostamento: il poeta, infatti, ha composto un altro canzoniere in lingua turco-azeri e l’Azerbaijan – stato che patrocina il restauro di alcune catacombe cristiane romane in collaborazione col dicastero vaticano che presiedo – lo considera un vate nazionale e nel 2019 fui coinvolto nell’«Anno di Nasimi», sotto l’egida dell’Unesco.

         Abbiamo visto che – accanto a Gesù – si presenta sua madre Mjriam di Nazaret. A lei come tramite di un dialogo interreligioso al femminile è dedicato il saggio di uno dei nostri maggiori studiosi di questa figura, il servita p. Salvatore Perrella. Egli parte paradossalmente dal famoso e controverso discorso di Benedetto XVI a Regensburg (2006) e approda a papa Francesco, disegnando in modo molto suggestivo sia la fede musulmana nel suo cuore teologico, sia appunto la sua mariologia. Alla Madre vergine del profeta Gesù è intitolata un’intera sura del Corano, la XIX, mentre la III vede protagonisti i suoi genitori, e per 34 volte è l’unica donna chiamata col suo nome, Maryam in arabo. Oltre a quelli canonici, sono i Vangeli apocrifi la base coranica per una sequenza di episodi che rendono Maria il modello dei credenti nel Dio di Abramo, creando così anche una vivace devozione mariana popolare musulmana.

GIANFRANCO RAVASI

Nasimi di Shirvan, Nel tuo volto è scritta la Parola di Dio, a cura di Carlo Saccone, Centro Essad Bey, Seattle (USA), pagg. 328, s.i.p.

Salvatore M. Perrella, Mjriam di Nazaret, San Paolo, pagg. 216, € 18,00.