UN CRISTO SEMPLICE

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Nello stesso anno in cui veniva insignito del Premio Nobel per la pace, il 1952, nelle sale cinematografiche usciva il film a lui dedicato, È mezzanotte, dottor Schweitzer. Teologo di alta qualità e musicologo raffinato (splendide le sue esecuzioni organistiche bachiane), il tedesco Albert Schweitzer aveva scelto di migrare in Africa come missionario (era, infatti, anche medico). Nella sua bibliografia è registrato un saggio del 1947 intitolato Rispetto per la vita nel quale è scritto: «Lo spirito della nostra epoca disprezza ciò che è semplice. Non crede più che semplicità possa corrispondere a profondità. Si compiace di ciò che è complicato e lo considera profondo».

         Sono ricorso a questa citazione per introdurre un delizioso libretto dal titolo lapidario, Gesù, dal sottotitolo venato di ironia: «Un racconto per chi non ne sa nulla… o ha dimenticato», e accompagnato da ingenue illustrazioni di un ormai antico gusto nazionalpopolare. La sigla stilistica di questo centinaio di paginette a larga spaziatura è proprio quella «semplicità» a cui alludeva Schweitzer, e curiosamente a scriverle è uno dei maggiori teologi italiani contemporanei, un accademico che ha scelto di essere anche parroco in un modesto borgo della campagna pisana, Caprona, il cui nome risuona nella memoria di molti attraverso una frase dell’Inferno dantesco: «Li fanti / ch’uscivan patteggiati di Caprona» (XXI, 94-95), evocazione della capitolazione per resa dei difensori pisani davanti alle milizie guelfe toscane nel 1289.

         L’autore, don Severino Dianich, deponendo il linguaggio e la ricca attrezzatura teologica di cui dispone, ha voluto spremere un testo essenziale e destinato a una folla di italiani che, ogni volta che s’imbattono in una domanda di carattere religioso (esemplari, al riguardo, sono i quiz televisivi con qualche occasionale quesito biblico), svelano una disarmata e disarmante ignoranza, persino innocente nella sua radicalità. Eppure, credenti o no, sono convinti che Gesù di Nazaret è una figura imprescindibile per la nostra storia, arte, etica, cultura e spiritualità. Il teologo ha così deciso di uscire dal laboratorio esegetico e di rivolgersi a loro appunto con semplicità: dopo tutto, anche la sapienza cinese era convinta che essa sia «la via dell’uomo per il cielo».

         Ma non è necessariamente alla conversione che Dianich mira, bensì a far riscoprire questo straordinario predicatore ambulante vissuto due millenni fa in una provincia periferica dell’impero romano, medico sorprendente senza medicine e terapie, narratore di storie affascinanti che dall’orecchio penetravano dritte nel cuore degli ascoltatori, gente semplice come semplice era appunto il suo messaggio. Una semplicità tutt’altro che innocua per la sua profondità, al punto tale da far stringere attorno a lui il cerchio mortale del potere politico e intellettuale, così da condurlo su quella croce piantata tra le rocce del colle gerosolimitano detto Golgota, «cranio», in latino «Calvario».

         In verità l’ultima sua parola pronunciata con affanno nell’asfissia della crocifissione, «È compiuto!», più che un «tutto è finito» si era trasformata in un «tutto comincia» e la sua storia continua ancor oggi attraverso i fedeli che non lo abbandonano, convinti che egli sia ancora vivo e operante nella storia umana. Non per nulla il libro di Dianich inizia e si chiude in «un giorno assolato di luglio dell’anno 64», mentre Roma sta bruciando e i due discepoli principali, Pietro e Paolo, vengono trucidati, ma la loro fine è un inizio che genera un filo vitale mai interrotto. Un grande credente – che era pure lui teologo ma anche filosofo e scienziato – lui pure destinato ad essere eliminato dal potere brutale, il russo Pavel Florenskij, in una lettera indirizzata alla moglie e ai figli dal gulag sovietico, scriveva: «Essere semplici e chiari nei propri pensieri è il pegno della libertà spirituale e della gioia del pensare».

         Ecco, il racconto di Gesù, della sua storia e del suo messaggio elaborato dal teologo pisano appartiene proprio a questo programma che non è da confondere con la maschera contraffatta della banalità e della superficialità. È, invece, un faticoso esercizio della mente che sboccia dalla ricchezza del sapere, dalla luminosità intellettuale, dalla limpidità interiore. È la capacità di spogliarsi dalla ricercatezza e dall’arabesco complicato, puntando all’essenzialità. È spontaneo citare un altro ben più celebre pisano, Galileo Galilei, che senza esitazione osservava: «Parlare oscuramente lo sa fare ognuno, ma chiaro pochissimi».

         Nella trama di questa particolare «vita di Gesù» si legge anche un paragrafo così concepito: «Un giorno gli chiesero di suggerire qualche parola da dire quando si vuol pregare. Tra le poche frasi che, componendo una preghiera, egli dettò, ci mise anche questa: “Padre nostro, condona i nostri debiti come noi vogliamo condonare i debiti che gli altri hanno verso di noi”. Non c’è giustizia al mondo senza pietà e perdono». L’eco della nuova versione del «Padre nostro» adottata dalla Conferenza Episcopale Italiana per la liturgia è giunta anche a livello mediatico popolare, soprattutto per la sesta delle sette invocazioni che compongono questa preghiera talmente fondamentale per il cristianesimo da essere definita dal primo dei suoi commentatori, l’africano Tertulliano (160-220 ca.), con enfasi breviarium totius evangelii.

         Anche chi non è praticante ha ancora nell’orecchio il provocatorio «Non indurci in tentazione», imparato dall’infanzia, che è un ricalco della versione latina di Girolamo Ne nos inducas in tentationem, decisamente più forte dell’originale greco. Esso, infatti, usa il più tenue verbo eisphéro, che è semplicemente un «condurre verso, introdurre». Quindi, tenendo conto della meta, peirasmós, che significa «prova» oltre che «tentazione», si potrebbe rendere l’invocazione anche così: «Non introdurci nella prova». È questa la resa proposta da Matteo Crimella, un esegeta milanese che – come Dianich – è pure impegnato nell’attività pastorale. E come il teologo pisano nel suo commento al «Padre nostro» adotta un linguaggio chiaro («chiarità è carità», diceva un grande biblista del secolo scorso, Luis Alonso Schökel).

         I destinatari, però, del suo testo appartengono a una categoria di conoscenza un po’ più alta e qualificata, anche se non strettamente scientifica. Il commento è, così, godibile per tutti coloro che vogliono approfondire la ricchezza e l’originalità di questa preghiera distintiva di Gesù giunta a noi nella duplice redazione di Matteo (6,9-13) e Luca (11,2-4). Per tornare a quell’invocazione, Crimella si mostra critico nei confronti della traduzione che entrerà nella liturgia italiana e che sarà, perciò, imparata da tutti i cattolici: «Non abbandonarci alla tentazione». La sua è, comunque, una lettura accurata, motivata e limpida di una preghiera che è il paradigma orante per eccellenza del cristianesimo.

         A livello storico-critico e teologico-esegetico si colloca, invece, un saggio che segnaliamo soltanto. Si tratta del «Padre nostro» riletto alla luce delle sue possibili connessioni non tanto col giudaismo antico «ufficiale» (il Qaddish, una nota preghiera che ha contatti con quella di Gesù) quanto piuttosto col particolare giudaismo della comunità di Qumran sul mar Morto, i cui manoscritti sono stati scoperti a partire dal 1947. Roberta Collu, che ha insegnato a lungo a Parigi, ripropone – in collaborazione con due rabbini francesi – la ricerca sul «Padre nostro» in dialogo coi rotoli di Qumran da parte di uno studioso francese, Jean Carmignac (1914-1986), che fu oggetto di forti contestazioni in campo scientifico ma che certamente mosse le acque in un dibattito vivace, ricostruito in queste pagine, prima di approdare alla rilettura del «Padre nostro», tenendo in filigrana la letteratura giudaica, soprattutto qumranica. Un’esperienza suggestiva, che forse può far discutere gli esperti, ma che ancora una volta mostra le radici giudaiche del rabbì di Nazaret.

GIANFRANCO RAVASI

Severino Dianich, Gesù, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), pagg. 111, € 15,00.

Matteo Crimella, Padre nostro, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), pagg. 126, € 14,00.

Roberta Collu, Il Padre nostro e i rotoli di Qumran, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze, pagg. 328, € 24,00.

Pubblicato col titolo: Gesù in dialogo con il «Padre Nostro», su IlSole24ORE, n. 121 (03/05/2020).