TEOLOGIE DISCORDANTI

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«Non desidero il consenso, non provoco il dissenso, cerco solo un senso». Così p. David M. Turoldo si difendeva dai suoi accusatori. In questa linea appare ora un saggio di straordinario impegno critico – i documenti vagliati sono sterminati e sono stati spesso scovati nei fondi più remoti e polverosi degli archivi – intitolato in modo significativo Una teologia discordante. L’autore è un giovane studioso della Cattolica, Federico Ferrari, e l’aggettivo da lui scelto è emblematico. In italiano il vocabolo «cuore» ha generato un delta lessicale ramificato: si va dal «ricordo» alla cordialità, dalla misericordia al coraggio, dal cordoglio alla corruzione e così via.

         Rilevante a livello teorico e pratico è, però, la coppia «concordia-discordia» che declina il «consenso-dissenso» da cui siamo partiti. Tuttavia l’aggettivo «discordante» (a differenza di «discorde») marca un percorso divergente dialettico basato su un’argomentazione e una riflessione articolata. È ciò che è accaduto al teologo morale lecchese-milanese Ambrogio Valsecchi, nato nel 1930, sacerdote dal 1953 al 1974, e da allora prete operaio e poi psicoterapeuta fino alla morte nel 1983, dopo che era calato su di lui il sipario del silenzio ecclesiale, a differenza della precedente a animata pubblica discussione.

         Tuttavia, è interessante notare che nel 2011, in occasione del suo ingresso a Milano come arcivescovo, il card. Angelo Scola tra i suoi «padri e maestri nella fede» inseriva anche «la sofferta figura di Ambrogio Valsecchi». Io stesso, pur non essendo stato suo alunno nel Seminario milanese ove fu docente dal 1956 al 1967, ricordo il suo profilo minuto e la complessità del dibattito che avvolgeva la sua persona, anche quando per un breve periodo fu rettore del Collegio Borromeo di Pavia. È molto arduo riassumere la trama della particolare biografia storico-teologica tracciata da Ferrari.

         Infatti è necessario allestire l’intero fondale del post-Concilio Vaticano II con l’effervescenza della ricerca teologica, con le tensioni spesso aspre intra-ecclesiali, con l’affacciarsi di un nuovo modello sociale segnato da inedite prospettive etiche. In particolare uno dei nodi roventi fu quello che intrecciava i due fili dell’amore coniugale e della procreazione, sfociato a livello magisteriale con la famosa enciclica Humanae Vitae che Paolo VI emise il 25 luglio 1978. L’anelito personale, intellettuale e teologico di Valsecchi era quello di coordinare la tradizione secolare portatrice di un raffinato sistema cristallizzato e l’innovazione prorompente.

         Semplificando, si potrebbe dire che il teologo milanese mirava a introdurre una serie di percorsi (successivamente battuti da molti e ancor oggi frequentati), come la visione personalistica, primaria nel messaggio cristiano, una più ricca antropologia che non ignorasse il contributo delle scienze umane, la «simbolicità», ossia l’unitarietà della sequenza sessualità-eros-amore-generazione, il dialogo con la cultura e la società contemporanea. I titoli stessi delle sue opere maggiori che fecero esplodere il «caso Valsecchi» – con una vasta raggiera di reazioni ricostruite in modo minuzioso ma vivo e «narrativo» da Ferrari e che videro come attori primari il vescovo Carlo Colombo, teologo del papa Paolo VI, e l’arcivescovo di Milano Giovanni Colombo – erano espressivi: Regolazione delle nascite (1967), il fondamentale e contestato Nuove vie dell’etica sessuale (1972) e Giudicare da sé (1973).

         Il ritratto di una personalità sincera, rigorosa, talora radicale, uomo di fede e di cultura, rivela lineamenti molteplici anche nei suoi stessi interlocutori polemici che, come nel caso dell’arcivescovo di Milano, comprendono spesso affetto, rispetto reciproco, dialogo, ma in altri una certa durezza e sordità. Forse il termine più autentico per definire una vicenda così complessa, da contestualizzare in quel periodo storico, è l’aggettivo «sofferto» usato dal card. Scola. In appendice alleghiamo un ben diverso ritratto, con esiti differenti sia per i rapporti con la gerarchia ecclesiastica sia per impatto socio-culturale.

         Quanto Valsecchi è stato oscurato e dimenticato, tanto prorompente è stata la fama e la popolarità di Hans Küng (1928-2021), giovane teologo presente al Concilio Vaticano II divenuto nei decenni successivi una sorta di vessillo della contestazione ecclesiale. In realtà, la sua personalità acclamata e persino strumentalizzata, multiforme, geniale, dirompente, merita un giudizio storico più fluido capace di registrare molte variazioni e sfumature. È ciò che fanno i brevi testi raccolti da Stephen Schlensog, segretario generale della Fondazione «Weltethos», voluta dallo stesso Küng.

         È evidente l’aspetto simpatetico delle testimonianze che, però, riescono a centrare alcuni crocevia indiscussi che il teologo svizzero ha affrontato: la cristologia, l’ecclesiologia, l’ecumenismo, il multiculturalismo religioso, l’etica globale, il confronto con l’ateismo, la riforma della Chiesa, la secolarizzazione. Uno dei meriti di Küng fu il saper parlare al mondo laico, talora con qualche semplificazione e accondiscendenza o equivoco, convincendo molti che la teologia non è un remoto discorso di accademie del passato, ma una spina necessaria nel fianco di un mondo distratto e superficiale.

GIANFRANCO RAVASI

Federico Ferrari, Una teologia discordante. Ambrogio Valsecchi nell’Italia degli anni ’50-’70, Morcelliana, pagg. 357, € 28,00.

Stephen Schlensog, Hans Küng, Queriniana, pagg. 192, € 22,00.